Tagli a sprechi e costi della politica, primo vero test per Renzi. Ambizioni e rischi di un Pifferaio Magico
di Carlo Lazzari.
Tra Montecitorio e Palazzo Madama corre un sotterraneo alquanto frequentato, attraversato dal nuovo partito trasversale della “palude”: una formazione morbida e gelatinosa che si adatta e prende forme secondo necessità. Si accoppia e si scoppia seguendo accordi e compromessi, diventa di governo e di opposizione. E’ ideologica quando serve e pratica quando è opportuno. E’ un partito multiforme che pesca senza imbarazzi tra deputati e senatori del Pd, ha una sua base in Forza Italia, rimbalza sulla Nuova destra di Alfano, imbarca leghisti e grillini miracolati dal Porcellum e si legittima con grande autorevolezza nel voto segreto. Renzi, adrenalinico premier con il virus del “decisionismo” (un pò retrò Anni 80 di fattura craxiana) conosce bene, nostante la giovane età anagrafica, le trappole sul percorso delle riforme. E sa che e’ arrivato il primo vero test, dopo la raffica di annunci: la sfida sui tagli alla spesa e agli sprechi. Ovvero l’abolizione delle Province, cui seguirà quella del Senato. Il primo assaggio di quale sarà la reazione del “Partito della Palude” si è visto ieri: il disegno di legge in Commissione Affari costituzionali è passato di misura strettissima. La pregiudiziale di costituzionalità dei grillini non è stata accolta per soli 4 voti. La maggioranza si e’ sfaldata tra defezioni e ritirate strategiche con i Popolari contratti in forti maldipancia. Ma il governo è corso ai ripari usando l’arma della fiducia sul voto che ha consentito di passare indenni al Senato con 30 voti di scarto. “E’ fisiologico che quando tocchi interessi, e che interessi – ha chiosato il premier con i giornalisti – la palude opponga reistenza. Non si puo pensare che tagli tremila stipendi della politica e tutti applaudono”.Renzi non sottovaluta neppure le insidie che dovrà affrontare in casa nell’incontro con la direzione del Pd. Dagli irriducibili bersaniani che ancora si oppongono all’Italicum, alla minoranza più aperta, quella dei “giovani turchi”, è tutto un gioco di distinguo e perplessità sulle scelte del loro leader. Ma se la fiducia sul voto per l’abolizione delle Province potrebbe consentire a Renzi di portare a casa un importante risultato (ora il voto passa alla Camera), quello della riforma del Senato appare molto più ambizioso e lontano come obbiettivo. Palazzo Madama chiamato all’eutanasia è un disegno concepito e condiviso con il suo più importante alleato, Berlusconi. Con lui ha siglato un accordo che restituirebbe al leader di Fi un importante ruolo politico, appannato dalle vicende giudiziarie. Ma qui sta l’insidia per Renzi: la stessa condanna che ha espulso dal Senato Berlusconi, ora gli potrebbe sottrarre la stampella più importante per completare le riforme. Il 10 aprile infatti il tribunale di Sorveglianza di Milano manderà Silvio Berlusconi agli arresti domiciliari o ai servizi sociali. In entrambe i casi non potrà usufruire di contatti, telefono, incontri. Insomma non avrà a disposizione tutti quegli strumenti che gli consentirebbero di praticare la sua leadership anche fuori dal Parlamento. Già Fi non ha digerito troppo gli accordi sulla riforma elettorale (la cancellazione del Senato toglierrebbe poltrone e stipendi a una Casta cresciuta e prosperata all’ombra del Cavaliere). Senza Berlusconi in prima linea a difendere il patto con Renzi, resta difficile immaginare che i 315 senatori possano seguire il Pifferaio Magico nelle acque gelide del fiume Weser, fino ad annegare.
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