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E Matteo varca il cancellone del Vinitaly, primo capo del governo venuto qui, e tra Prosecchi e prosciutto pacifica anche il Veneto “secessionista”

E Matteo varca il cancellone del Vinitaly, primo capo del governo venuto qui, e tra Prosecchi e prosciutto pacifica anche il Veneto “secessionista”
Di Antonio Paolini

E’ arrivato alle dieci passate da poco, si è fermato a parlare con i dipendenti di un’azienda in a rischio delocalizzazione e licenziamenti in massa, poi ha varcato il cancellone del Vinitaly. Prima tappa, con Luca Zaia, il governatore, al fianco, in Veneto; fetta di prosciutto, calice di Prosecco, il “buono!” di rito, e il “come sta andando?” in semiautomatico. E Zaia che gli molla in mano lo stendardo (promosso impropriamente a bandiera) con il Leone di San Marco del Veneto. Poi il giro di rito, pressato da un’armata di fotoreporter e giornalisti commandos massacrati (inevitabilmente) dal cordone di protezione, poi rapido giro, e conferenza stampa. Al Vinitaly oggi calici e bottiglie, anche le migliori, per un pò diventano scenografia: è il D-day di Matteo Renzi: primo capo del governo a visitare la grande “casa”, mostra e fiera del vino italiano (che ovviamente lusingata dall’attenzione incassa e gode), e attento ad aggiudicarsi anche questo ennesimo primato. Dal microfono parla di Def e spending, tagli e programmi, obiettivi già raggiunti, parole mantenute. E dà nuove scadenze: anche per il mondo che lo sta ascoltando e che lo ha accolto. Parla di “Campo libero“, il provvedimento in via di avviamento, con relativo dl, per sbrigliare dai legaci della burocrazia (che rammenta paragonando i tempi italiani per pratica, biblici rispetto, per esempio, a quelli tedeschi) il settore agricolo, con tanto di date; cioè ponendo come sua abitudine i barrage temporali, 30 aprile e 15 di maggio per le tappe di concretizzazione; di fondi europei (52 miliardi con orizzonte 2020) della Pac, lo strumento programmatico che regola la politica, le spese e le incentivazioni di settore. E parla anche di Veneto: su cui apre e si pare. “Ho accettato volentieri la bandiera – dice – perché il Veneto è un pezzo fondamentale d’Italia” (lo stesso aggettivo usato per dire che l’agroalimentare è un pezzo “fondamentale” dell’economia nazionale). E aggiunge sornione: “C’è sempre chi dà di più e chi dà di meno. Chi dà di più ha diritto poi a ricevere. Il Veneto è tra le regioni che hanno dato di più all’Italia e all’economia nel tempo. E allora non posso pensare che la sanità veneta venga trattata con un certo metro come se non fosse stato nulla. E non sono – dice proprio così – discorsi leghisti. Ma è una questione di giustizia”. Poi rimbalza al mittente una mazzetta di domande “fuori tema” (sugli spazi Rai per il wine & food: “Quando i governi hanno provato a fare i palinsesti non è andata granché bene”; sulle tempestose dimissioni dell’assessore regionale siciliano Cartabellotta: “Almeno queste questioni lasciamole ai governatori”) con la solita farandola di battute d’accompagnamento. E va via come era arrivato: per la prima volta da anni per quanto riguarda un politico, salutato da un bel po’ d’applausi della platea che fa ala, e da un bel po’ di incitamenti in vago stile stadio: “Vai Matteo, e “Dagli così”. Per un Vinitaly che chiude battenti nel segno di un pizzico di ottimismo e di un bel po’ di speranza (le cose, diciamolo, hanno marciato, e solo per scaramanzia e per timori di imprevedibili harahiri di palazzo molti operatori di settore preferiscono parlare di chanches da concretizzare e di buona semina, anziché di primi veri segni di inversione di tendenza) è un sigillo, anche questo, niente male.