Bonus e dintorni, un premier pop e una sinistra finita in fuorigioco
Di Carlo Lazzari
E alla fine quel bonus di 80 euro si è materializzato. Dal premier pop o post ideologico, la promessa lanciata un mese fa, è stata mantenuta. Lo scetticismo e la diffidenza di quanti hanno accompagnato la corsa di Renzi sulla strada delle riforme, si sono dovuti arrestare per un attimo davanti alle decisioni economiche adottate dal Consiglio dei ministri per i redditi più bassi. Ma in serata avevano già ripreso a correre: le coperture restano incerte, si tratta solo di un’operazione di marketing, un bonus di scambio per vincere le europee, i tagli alla difesa sono un bluff. Senza contare la solita critica rabbiosa di Grillo e Casaleggio. Ma siamo in campagna elettorale e l’attivismo di Renzi va esorcizzato. Nessuno che soprattutto a sinistra abbia avuto l’interesse ad analizzare gli effetti della manovra sulle tasche degli italiani più bisognosi.
La Cgia di Mestre, un centro studi molto attento della associazione degli artigiani, ha valutato come il bonus Irpef centri la platea degli under 30, una platea vastissima di giovani che guadagna meno di 1000 euro netti al mese. Sel, sindacato e vecchia guardia Dem hanno evitato ogni commento. Eppure tagli agli stipendi dei manager, tetto di 240 mila euro rapportati allo stipendio di Napolitano, eliminazione di privilegi e autoblu, aumento della tassazione sulle rendite finanziarie, sono tutti provvedimenti di sinistra o almeno parte del pacchetto di proposte per una uguaglianza sociale da sempre evocata e mai praticata. Eppure tutti in fila ad aspettare Renzi che commetta errori e venga meno ai suoi impegni. Pronti a saltargli addosso per gridare alle tv “Lo avevo detto, era un bluff”. E mentre il premier cerca di cambiare il paese, sfidando la burocrazia e il maschilismo nella gestione del potere nelle industrie pubbliche (quattro donne ai vertici delle maggiori aziende nazionali) mai successo prima, c’è una grossa fetta dell’informazione e del sistema dei partiti che si premura di smontare ogni piccolo tassello inserito nel mosaico delle riforme. Vecchi e nuovi “Pret-à-penser” abituati ad essere interpellati su tutto, icone a gettone dell’intellighenzia di sinistra, praticano la supponenza negli studi televisivi.
Stefano Rodotà, uno dei “professoroni” aduso a firmare manifesti e campagne libertarie, confessa all’Unita’il suo imbarazzo culturale per Renzi e le sue misure su riforma del Senato e del sistema elettorale: “Ho letto pochi testi così sgrammaticati”. Per non parlare del vate del giornalismo italiano Eugenio Scalfari che, dopo le taglienti critiche dell’ultimo mese, si è esibito ieri in un doppio salto mortale carpiato per dire che questo premier in fondo gli piace. “Le misure del governo, scrive nell’editoriale domenicale – sono come cartoni appiccicati l’uno all’altro con le spille….ma a me quei cartoni sconnessi piacciono”. Pochi giorni fa per le celebrazioni dei suoi 90 anni dal palco del teatro Argentina a Roma, aveva trattato lo stesso Renzi con tagliente ironia: una sorta di rampante pugnalatore di Letta, un seduttore senza qualità di cui diffidare. Ciò che colpisce in tanta ostilità, legittima nell’analisi logica degli errori e dei rischi dell’azione di governo quando questa si manifesti sbagliata per il Paese, è il largo desiderio di non incoraggiare la difficile e ambiziosa operazione riformatrice. Non esaltare i piccoli passi del cambiamento, soprattutto quando come Paese scontiamo il peso della corruzione e della burocrazia come nessun altro nell’Europa moderna.
Ciò che ripropone tanta resistenza al nuovo è quella contromanovra messa in atto dalla nomenclatura dei privilegi politici e di casta sociale che si manifesta col volto dei difensori delle regole della democrazia. L’esempio della magistratura è eloquente. Renzi impone il taglio a 240 mila euro anche agli alti magistrati sul livello del Presidente della Repubblica, il primo delle toghe. La reazione immediata dell’Anm, l’associazione di categoria: “Se si tagliano gli stipendi si mina l’autonomia e l’indipendenza della magistratura….” Come dire che con meno di 20 mila euro al mese si perde la certezza del Diritto. Difficile farlo capire a chi con 20 mila euro all’anno, e sono tanti, si perde si un diritto, ma a vivere.
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