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Speciale tris musicale all’Auditorium: da Bach a Strauss e Schumann per la direzione di George Pehlivanian (egregio sostituto di Luisi ammalato)

Speciale tris musicale all’Auditorium: da Bach a Strauss e Schumann per la direzione di George Pehlivanian (egregio sostituto di Luisi ammalato)

(di Sergio Prodigo) I contenuti programmatici di un evento artistico sovente ne costituiscono o ne rappresentano i motivi di interesse e le potenzialità attrattive: così, quanto proposto nel concerto dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di sabato 31 maggio, presso l’Auditorium del Parco della Musica, non poteva che interessare e attrarre, poiché raramente si intende la “Fuga (Ricercata)” a sei voci, tratta dall’Offerta musicale di Bach, nella particolare trascrizione di Anton Webern, seguita da uno dei più complessi poemi sinfonici di Strauss, il “Don Quixote”. Se poi, nella seconda parte, si propone – a guisa di un felice accostamento “stagionale” – l’esecuzione della “Sinfonia n. 1” di Schumann, “La Primavera”, il quadro si dota e si completa di una cornice degna di raffigurarlo come uno straordinario accadimento musicale.

Sul podio un ancor giovane direttore statunitense, George Pehlivanian: chiamato in extremis a sostituire Fabio Luisi (che per motivi di salute ha dovuto annullare i concerti ceciliani) ha egregiamente e gagliardamente interpretato i tre diversi capolavori, coadiuvato da un’orchestra in serata di grazia e dai suoi eccellenti solisti (nel brano straussiano), Gabriele Geminiani (primo violoncello), Raffaele Mallozzi (prima viola) e Roberto Gonzáles-Monjas (primo violino).
Il brano iniziale rientrerebbe nel novero delle innumeri trascrizioni bachiane, se Webern, esponente di quel radicalismo o puntillismo che costituì la base tecnico-ideologica dell’avanguardia post-bellica, non avesse interpretato il “Thema regium” e la conseguente complessa struttura contrappuntistica a sei parti nell’ottica e nella prassi di una sorta di divisionismo timbrico, attraverso la frammentazione analitica di frasi e segmenti.

A proposito della “Musikalisches Opfer” BWV 1079, va comunque rilevato come in Bach l’inventio tematica non rappresenti l’atto creativo in sé, poiché funge da pretesto (praetextum) per la conseguente architettura strutturale: l’atto creativo medesimo si manifesta (e si evolve) nella fase di elaborazione con il concorso fondamentale di un meccanicismo contrappuntistico aprioristico (in relazione al textum). Così nel celebre tema del “Ricercare”: tuttavia, è irrilevante conoscere il vero autore del tema, ossia se tale espressione melodica sia scaturita dalla discreta natura musicale del Re di Prussia Federico il Grande (eccellente flautista ma mediocre compositore) o da un malizioso suggerimento di Carl Philipp Emanuel (uno dei figli di Bach, al servizio come clavicembalista presso la corte dello stesso Re di Prussia). Resta, comunque, l’eccelso monumento musicale edificato da Bach, fortificato dal celebre RICERCAR (l’originale titolazione che cela l’acronimo “Regis Iussu Cantio Et Reliqua Canonica Arte Resoluta”), inteso nella pregevole versione weberniana e magistralmente eseguito dall’orchestra (naturalmente a ranghi più ridotti) ceciliana.

Grande organico, di contro, per il “Don Quixote” di Richard Strauss, il penultimo dei grandi poemi sinfonici giovanili del compositore bavarese, composto nel 1897: la lettura dell’omonimo capolavoro letterario di Cervantes ne condiziona e, al tempo stesso, ne rappresenta fedelmente la sequenza episodica, ma nello spirito o, meglio, nella megastruttura di un tema con ben dieci complesse variazioni. Nella parte introduttiva, a guisa di preambolo, si intende l’idea motivica, prima esposta dall’orchestra, dipoi affidata al violoncello solista, che impersona e raffigura musicalmente il personaggio di Don Chisciotte, e, a seguire, alla prima viola, quale personificazione del personaggio di Sancho Pancia. Le susseguenti variazioni descrivono appunto episodicamente e senza soluzione di continuità l’avventura dei mulini a vento (I), lo scontro con il gregge di pecore (II), il dialogo fra il protagonista e il suo scudiero (III), l’assalto al corteo dei pellegrini (IV), la veglia d’armi all’osteria (V), l’incontro con la giovane contadina, scambiata per Dulcinea (VI), la cavalcata in aria (VII), il viaggio sulla nave incantata (VIII), il combattimento contro i due monaci, scambiati per maghi (IX), e il duello con il Cavaliere della Bianca Luna (IX); il “Finale” è dedicato agli ultimi giorni di un Don Chisciotte rinsavito e alla sua dipartita.
Opera complessa, la partitura straussiana, ricca di effetti scenici mirabilmente resi a livello musicale, mercé una sapiente e raffinata strumentazione: la doviziosa componente tematica si esalta nel principio della variazione, pur se ogni episodio costituisce un’autonoma unità strutturale. Gli effetti orchestrali (si pensi all’impiego della “macchina del vento” nella settima variazione) si coniugano mirabilmente con il trattamento motivico, sovente imperniato sui “soli” delle prime parti; in tale contesto, il ruolo del violoncello assurge al rango di solista (quasi il brano si configurasse come un concerto per violoncello e orchestra), ma anche il primo violino e la prima viola concorrono in tale veste ad una sorta di virtuale “concertino” che s’oppone e si giustappone alla massa orchestrale. Gabriele Geminiani è stato perfetto nella sua perfomance, espressiva e tecnicamente ineccepibile; ugualmente di alto livello performativo si sono rivelate le esecuzioni della “spalla” Roberto Gonzáles-Monjas e di Raffaele Mallozzi (“spalla” delle viole). Il non numeroso pubblico non ha potuto che riservare loro, al termine, un prolungato ed entusiastico plauso ma anche reiterate “chiamate”, estendendo le ovazioni al direttore per una interpretazione del tutto convincente e alle varie famiglie strumentali.
Nella seconda parte del concerto la “Sinfonia n. 1” di Schumann: il primo lavoro sinfonico del compositore tedesco – come altri, del resto – pone sempre problemi a livello esecutivo, poiché l’orchestrazione schumanniana appare carente tecnicamente, in quanto basata sui modelli beethoveniani e schubertiani (e sugli “amorevoli” consigli di Mendelssohn), frutto di attente letture, ma non supportata da studi specifici in materia (non per nulla Gustav Mahler riorchestrò le sue quattro “Sinfonie”). In tale contesto l’interpretazione deve giocoforza collocarsi di là da una “lectio” rituale e mirare all’analisi tematica e fraseologica, attenuando (ad esempio) ridondanze di ottoni e sfrondando talvolta determinate aggregazioni timbriche in un complessa e non semplice fase di concertazione, allo scopo di vivificare, anche ritmicamente, i preziosi tematismi, donando o restituendo loro logica e coerenza.
Del resto, l’inventio motivica è in taluni tratti sublime, pur se non soggiace ai princìpi del bitematismo, poiché la fantasia di Schumann tende sovente alla successione episodica (come in gran parte dei suoi eccelsi brani pianistici), anche mediante dei terminali inserimenti incidentali, che assicurano una sorta di continuità ciclica fra i vari tempi della stessa “Sinfonia” (“Andante un poco maestoso, Allegro molto vivace” – “Larghetto” – “Scherzo: Molto vivace” – “Allegro animato e grazioso”). Non mancherebbero, comunque, anche al capolavoro schumanniano dei riferimenti di carattere letterario: si presume che la lettura del poema sulla primavera di A. Böttger ne abbia costituito l’ideale ispirazione, palesata dallo stesso compositore nelle titolazioni dei quattro movimenti (“Risveglio della primavera” – I; “Sera” – II; “Allegri compagni di giochi” – III; “L’addio alla primavera” – IV), peraltro omesse nella stampa della partitura.

Certamente, il tematismo e l’apparato armonico risultano sempre di incomparabile bellezza, pur se non sufficientemente supportati a livello timbrico-strumentale, e non celano, in fondo, un’origine o una primigenia concezione “pianistica”, che spesso si traduce nel ricorrente processo (tipicamente schumanniano) dell’autocitazione (non a caso, il tema del “Finale” è tratto dal celebre inciso della “Kreisleriana”).
Gradevole, tuttavia, l’atto esecutivo inteso (anche in virtù dell’eccellenza della compagine orchestrale, ben diretta da George Pehlivanian), che, forse alieno dalle problematiche evidenziate, non ha mancato, infine, di generare i rituali consensi e le debite ovazioni.