Mondiali 2014, gli azzurri tornano in Italia. Sorpresa di Pirlo: “Se il ct avrà bisogno di un centrocampista e mi chiamerà, verrò sempre volentieri”
Un altro lampo di Pirlo ha squarciato le tenebre azzurre durante il mesto ritorno a casa. Il Maestro è pronto a restare in azzurro, dopo aver annunciato l’addio e salutato i compagni alla fine del Mondiale, nello spogliatoio dello stadio Das Dunas. “Per adesso me ne sto a casa. Ma do la mia disponibilità, nel caso in cui ci fosse bisogno e il prossimo allenatore dovesse chiamarmi, a tornare in azzurro. Se il nuovo ct avesse necessità di un apporto in campo, verrei sempre volentieri. Insomma, se serve un centrocampista, ci sono…”. Un segno di continuità da parte di uno dei leader del gruppo, una decisione auspicata già dal vicepresidente federale Albertini. Anche se uno dei candidati alla panchina, Max Allegri, è proprio l’allenatore che lo ha scaricato al Milan, autorizzandone il passaggio a costo zero alla Juventus, una delle mosse di mercato più autolesioniste della storia. Alla vigilia dell’ultima partita, Pirlo aveva spiegato anche che “ho una certa età, devo dare spazio ai giovani, ma se vengo in Nazionale e non gioco mi incazzo, perciò meglio dire basta”. Il nuovo ct dunque dovrà dargli piena fiducia a 35 anni, e non relegarlo a un ruolo secondario, ammesso che sia concettualmente ipotizzabile per Pirlo un posto da non protagonista.
Avvolte nella malinconia del tramonto di Rio, dove soltanto il sole che sparisce presto ricorda che è ancora inverno, e dribblando gli ufficiali dell’aeronautica che hanno concesso il proprio scalo militare, lontano da tifosi e gente comune, le Ombre Azzurre hanno guadagnato ieri sera il volo di ritorno a casa, metafora di un altro tramonto anticipato. Il velivolo che ha riportato in patria la Nazionale era lo stesso dell’andata: “Tiziano”, airbus Alitalia, volo AZ8081, destinazione Malpensa e poi Fiumicino. L’umore, i sentimenti, le facce, totalmente diverse. Non c’erano sorrisi neppure nei bambini, stavolta, quelli con gli occhi gravidi di speranza al pari dei grandi, quando l’Italia, tre settimane fa, guadagnava il Brasile certa di essere preparata anche agli imprevisti. Stavolta luccicava, nascosta sotto il cappellino da baseball, solo la buffa chioma bionda di Mario Balotelli, capace con un guizzo dal parrucchiere di farsi ossigenare la cresta a Mangaratiba. Dopo la notte agitata di Natal, la bocciatura severa dei senatori, l’isolamento dal resto del gruppo, il mutismo e quindi la solita sfuriata su Twitter, dove ha imputato alla sua pelle l’ostracismo presunto di cui sarebbe vittima in Italia, Balotelli ha trovato evidentemente tempo e occasione anche per pensare a rifarsi il look. In un certo senso, ha messo la testa a posto. Di sicuro, nelle altre disfatte azzurre, il tempo di farsi biondo non l’aveva avuto nessuno, e forse manco il pensiero. Come ha spiegato poi il capo delegazione Albertini, ognuno reagisce alle delusioni a modo suo. E Mario ne ha uno tutto particolare.
Come all’andata, non c’erano posti per tutti in business. I giocatori si sono divisi di nuovo, metafora della spaccatura del gruppo, anche se qui era solo una questione di poltrone più comode e di anzianità azzurra: quelli con meno presenze si sono accomodati di nuovo in classe intermedia, separati dai Vip. C’era Immobile che zoppicava: lui è uscito contro l’Uruguay per infortunio, dopo aver provato a resistere dieci minuti buoni. “Come sto? Fa male, spero di guarire presto”. Claudicante anche De Rossi, che ha saltato l’atto finale per un problema al polpaccio. “Ma si risolverà da solo”. Ombroso Aquilani, che con Perin, il terzo portiere, non ha giocato neppure un minuto e forse una chance la meritava. “Potrei stare meglio, in effetti”. Balotelli per un po’ si è staccato dagli altri, ha raggiunto la sua Fanny alla fila 27, scambiando con lei tenere effusioni prima di tornare al posto che gli era stato assegnato. Cassano, sempre tenero papà, ha preso in braccio Lionel, il più piccolo dei suoi pargoli. Ma la serenità del viaggio d’andata aveva lasciato il posto alla stanchezza, alla realtà di un fallimento e all’incertezza di un futuro in cui molti, per scelta (Pirlo), limiti tecnici o caratteriali (Cassano, Balotelli) non sono sicuri di far parte.
Poi, ognuno si è rifugiato nel suo tablet, nelle sue cuffie da dee-jay, un po’ nei film offerti dal viaggio. I titoli offerti fossero beffardi: “Prisoners”, “Apollo 13″ (“Houston abbiamo un problema”), “Match point”, col celebre monologo iniziale sulla pallina che, cadendo di qua o di là dal nastro, può decidere un destino, come accaduto con l’Uruguay.
Decapitata dei suoi vertici, la Nazionale in tre settimane ha perso il presidente, il vice, il ct, il suo centravanti, perché il problema del nuovo allenatore sarà riconciliare Balotelli col resto del gruppo. E fino a stamattina aveva salutato pure il suo regista, Pirlo, anche se Albertini ha lanciato l’unico messaggio positivo: “Dobbiamo convincere Andrea a restare in azzurro, è troppo importante per questa Nazionale”. Poco dopo, mentre l’aereo stava sorvolando il Mediterraneo, Pirlo ha detto sì. Non poteva abbandonare l’Italia.
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