Forza Italia, Berlusconi chiede fedeltà ai suoi: “Sono vent’anni che mi date fiducia, darmela ancora una volta”
«Sono vent’anni che mi date la vostra fiducia e vi chiedo di darmela ancora una volta. Manteniamo fermo il patto anche se non sono le nostre riforme ideali, ma sono quelle possibili visto che siamo all’opposizione»: più che un voto di fiducia (che non c’è stato), ieri Silvio Berlusconi ha preteso un atto di fede dai suoi parlamentari, riuniti a San Lorenzo in Lucina.
E, in effetti, nessun altro ha proferito parola, fatta salva l’introduzione di Denis Verdini (fresco di rinvio a giudizio per la bancarotta del Credito cooperativo fiorentino) dedicata ai congressi locali da tenersi il prossimo anno, in vista del congresso nazionale, fra un paio d’anni.
Non sono piani quinquennali, ma poco ci manca, in barba alle primarie sognate da Raffaele Fitto e compagni. Temi troppo lontani dall’orizzonte del leader, fermo al prossimo venerdì di passione, in cui si concluderà il processo Ruby a Milano, nel mezzo del dibattito in aula sulle riforme costituzionali. Su quelle, Berlusconi ha una sola parola: «Dobbiamo mantenere l’accordo. Forza Italia è centrale ma, se ci tiriamo fuori dall’accordo, diventiamo ininfluenti perché Renzi, dopo le europee, ha acquisito un grande consenso e ha comunque i numeri per fare le riforme». D’altra parte, è stata la carota offerta a senatori e deputati, «non v’è dubbio che il testo sia stato migliorato grazie all’ottimo lavoro svolto» dal capogruppo Paolo Romani. Ergo: il patto siglato con Renzi va rispettato.
MANI ALZATE
Parole al termine delle quali dalla platea si sono alzate le mani di Augusto Minzolini, Cinzia Bonfrisco, Daniele Capezzone a chiedere la parola. E subito bacchettate. «Evitiamo di aprire il dibattito. Gli elettori non capiscono le nostre liti da spogliatoio. Ho già incontrato gli europarlamentari a pranzo, molti di voi li ho sentiti a telefono, non c’è altro che possiate aggiungere», è stato il messaggio di Berlusconi, spintosi fino alla minaccia: «Chi metterà pubblicamente in difficoltà Forza Italia rischia di essere deferito ai probiviri». Poco importa che, sebbene previsti nello statuto del 1998, non siano mai stati nominati. E poco ha importato che pure i suoi supporter di rito ortodosso siano rimasti stupefatti. «Pareva un set televisivo: lui parlava, noi in platea», commentava un forzista rassegnato a votare con il naso turato. Anche se i malpancisti sono tutt’altro che rassegnati e, in coda al monologo del capo, hanno provato a incalzarlo. A cominciare da Capezzone: «Presidente, non puoi deferire ai probiviri chi la pensa diversamente». Secca la risposta: «E tu non puoi cancellare 20 anni di storia».
Stesso trattamento per Minzolini, tra il serio e il faceto: «Smettila anche tu, altrimenti ti mando via». Per niente amichevole, invece, la reprimenda riservata a Vincenzo D’Anna del Gal: «Smetti di contestare tutto quello che facciamo». E D’Anna, recuperando il “che fai? Mi cacci?”, di finiana memoria, aggravato dal riferimento all’ex delfino: «Così dimostri che aveva ragione Alfano». Berlusconi deve aver visto rosso, uscendo dalle righe: «Allora tornatene con Alfano, altrimenti ti mando dove ho già mandato lui».
OGGI LA CONTRO-RIUNIONE
Vada come vada, oggi i dissidenti si riuniscono con i colleghi della Camera (a cominciare da Renata Polverini e Saverio Romano) oltre che con Fitto. Ma ieri, alla scadenza per la presentazione degli emendamenti, avevano già segnato il passo: se Romani parlava di appena 15 emendamenti di Fi, è stato smentito da Minzolini che, da solo, ne ha presentati 34. E molti di più potrebbero arrivati dagli altri, soprattutto dal Gal. Forse 700, forse un migliaio, è la leggenda che circolava in serata. Riguarderanno l’elettività del Senato, ma anche la cancellazione del pareggio di bilancio dalla Carta. Nella convinzione che, visto l’inevitabile rinvio alla prossima settimana dell’avvio delle votazioni, venerdì l’esito del processo milanese, cambi lo spartito della musica da suonare. Berlusconi inspiegabilmente conta su un’assoluzione o, quanto meno, su una riduzione della pena richiesta. Tutti i suoi uomini ripetono: «Non ti fidare».
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