Ciclismo, il siciliano Nibali domina anche sul Tourmalet e mette l’ipoteca sul Tour de France: “Sì, mi sento il padrone”
Oggi c’era la 18a tappa, la terza e ultima sui Pirenei, la quart’ultima di questo Tour de France. E poco oltre metà dei 145 km previsti dal percorso era posta la montagna forse più famosa della catena montuosa al confine con la Spagna, una delle salite più conosciute al mondo: il Tourmalet, simbolo del Tour de France. L’abbiamo percorso anche noi, di buon mattino, molte ore prima che arrivassero i corridori, nel suo versante da Sainte Marie de Campan, la stessa direzione di questa 18a tappa. Ed è stato uno spettacolo di gente, di colori e anche di… fauna locale, tra aquile reali, camosci dei Pirenei e un’infinità di mucche della tipica razza bruna francese.
Il Tourmalet nel ciclismo ha una storia secolare. Debuttò al Tour il 21 luglio del 1910 e il primo corridore a transitare in vetta fu Octave Lapize. Un’agonia, la sua: Lapize spinse per molti chilometri la bici con le mani, scalando l’impervia salita (allora naturalmente su strada sterrata) a piedi. E quando finalmente riuscì a raggiungere la vetta, nel superarla esclamò una parola che sarebbe entrata negli annali del Tour: “Assassini!”. L’imprecazione era rivolta agli organizzatori della Grande Boucle, che avevano introdotto una montagna dalle difficoltà estreme, almeno per quei tempi in cui non esistevano i cambi di rapporto nelle biciclette e le strade erano dissestate. In quella tappa tutti i corridori partecipanti al Tour, salendo verso il Tourmalet a quota 2115 metri, furono costretti a scendere dalla bicicletta e spingerla. Tutti, tranne uno: si chiamava Gustave Garrigou e concluse quell’impresa coperto di fango e con il sangue che gli usciva dalla bocca per la terribile fatica terribile. Sarebbe arrivato terzo in quel Tour e primo in quello del 1911: in otto partecipazione alla corsa fracese, non finì mai oltre il quinto posto.
Persino commovente fu invece la disavventura sul Tourmalet di Eugene Christophe, non a caso immortalato da una statua di bronzo a Sainte Marie de Campan, proprio dove comincia la salita. Il monumento ricorda come Christophe nel Tour 1913 fu travolto da un’auto al seguito della corsa durante la discesa dal Tourmalet – affrontato dal versante di Lutz St-Saveur – e ruppe così la forcella della sua bicicletta. Allora il regolamento impediva di sostituire il mezzo meccanico, quindi Christophe percorse 13 km a piedi fino a Sainte Marie de Campan dove riuscì a riparare la bici presso un fabbro locale. Nel frattempo aveva perso però quattro ore dal resto del gruppo e il suo sogno di vincere il Tour, mancato di poco l’anno prima, svanì. Concluse comunque al settimo posto e fu poi terzo nel 1919 (dopo aver indossato la maglia gialla), ma in dodici edizioni della Grande Boucle non riuscì mai a imporsi.
Era l’epoca del ciclismo pionieristico, oggi i mezzi meccanici, la tecnologia e le condizioni delle strade hanno reso meno fachiristiche certe salite. Ma alcune di queste, come il Tourmalet, hanno mantenuto intatto il loro fascino e ogni anno alimentano a ricchiscono la già vastissima aneddotica legata al ciclismo. La riprova c’è stata anche ieri sul Tourmalet: due ali di folla, grande battaglia e continue emozioni. Per primo è passato Blel Kadri, 27enne francese di origini algerine, che sarebbe però “scoppiato” dopo pochi chilometri. Qualche minuto più tardi è toccato ai big fra i quali Vincenzo Nibali, sornione e quasi nascosto nel gruppetto dei migliori: stava già meditando l’impresa nell’ultima salita verso Hautacam, dove è poi arrivato da solo. Per lui l’appuntamento con il Tourmalet è soltanto rimandato, quello con la gloria invece è già fissato per domenica, sotto l’Arco di Trionfo di Parigi.
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