Terrore Ebola, nel 2014 record di morti: 673. Europa e Usa in allerta.
Piegato in due da dolori addominali, mal di testa e febbre alta, e isolato in un letto d’ospedale della capitale della Liberia, il medico americano Kent Brantley ha trovato la forza di scrivere un messaggio elettronico: «Sto pregando ardentemente che Dio mi faccia sopravvivere, e che aiuti la mia amica Nancy, anche lei molto malata».
Kent e Nancy sono ricoverati a Monrovia con la diagnosi di infezione da Ebola, il virus che quest’anno ha già colpito 1201 persone nell’Africa Occidentale uccidendone 673. I due lavoravano come volontari per un’associazione che lotta proprio conro l’avanzata del virus. Il dottor Brantley curava i pazienti, l’infermiera Nancy Writebold disinfettava come misura precauzionale tutti quelli che entravano nel centro medico.
Domenica l’Organizzazione mondiale per la sanità ha certificato la morte per infezione da Ebola di un altro americano: Patrick Sawyer, un quarantenne del Minnesota, che lavorava per il ministero dell’Economia della nativa Liberia, e che stava programmando un viaggio di ritorno a casa per festeggiare il compleanno di due delle sue tre figlie. Nelle ultime settimane Sayer si era spostato dalla Liberia al Gahna, poi in Togo e infine in Nigeria, dove le sue condizioni di salute sono precipitate.
L’INCUBAZIONE
L’incubazione del virus può durare fino a 21 giorni. Il contagio non è frequente perché deve avvenire con lo scambio di fluidi come saliva, orina o sangue; ma le condizioni sanitarie dei paesi dove Ebola si sta diffondendo sono molto precarie. La Liberia ha reagito chiudendo quasi tutti i posti di frontiera tranne l’aeroporto di Monrovia, dove i passeggeri vengono disinfettati con il cloro prima di partire. Ma la partenza di Kent e Nancy, che pure era stata raccomandata dai loro colleghi di lavoro, fino a ora è ostacolata dalla indisponibilità di linee aeree e di interi paesi che non sono disposti ad autorizzare il transito verso l’Europa, o verso gli Usa.
I virus che sviluppano Ebola si spostano dal corpo di animali che sono portatori sani, come alcune varietà di pipistrello, dai maiali e dalle scimmie, a quelli degli umani, dove producono un’infezione emorragica che compromette la funzione del fegato e dei reni. La prima apparizione è stata nel 1976 in Zaire e Sudan, e immediato è stato l’allarme per l’alto tasso di mortalità associato al virus. Il contagio è stato però sempre circoscritto, e la sua diffusione limitata. Almeno fino al presente attacco, nel quale l’epidemia ha già toccato un numero di persone pari a un terzo del totale delle infezioni dal ’76 a oggi.
Insieme al numero di persone infette, cresce anche la preoccupazione per una possibile diffusione del virus in Europa e nel mondo, visto che i lunghi tempi di incubazione rendono difficile la diagnosi precoce. Ieri il servizio sanitario inglese ha lanciato un allarme, chiedendo a tutti i medici di prestare particolare attenzione ai sintomi della malattia: febbre crescente, nausea, vomito.
Stessa cosa negli Stati Uniti dove le autorità sanitarie hanno alzato il livello di allerta, preparandosi all’eventualità, tutt’ora considerata remota, di un arrivo del virus. Quando il governo della Guinea a fine aprile aveva riconosciuto l’esistenza di un focolaio epidemico, anche in Italia si era sparsa la voce, poi smentita, dell’arrivo del virus a bordo dei battelli che trasportano immigranti africani. I controlli ci sono ma la paura resta.<
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