Parlamento italiano, Sì alle armi ai curdi: “Ma si vince soltanto se l’Ue resta unita”
Incassato il via libera dalle commissioni parlamentari, il governo si appresta a spedire le armi ai curdi. Questione di giorni. Il problema non sono le armi in sé: l’arsenale segreto kalashnikov, missili e razzi di fabbricazione sovietica sequestrato nel lontano 1994 ai croati è pronto. Gli armamenti sono stati ben custoditi e revisionati di recente. Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha ironizzato: «Non dalla sottoscritta, come pure è stato scritto, che non saprei nemmeno come tenerle, ma dai nostri tecnici delle forze armate». Tutto è pronto per la spedizione. Il problema è evitare di muoversi disordinatamente. Perciò prima di far alzare gli aerei in volo ci si dovrà coordinare con gli altri governi – quelli americano, inglese, francese, tedesco, e naturalmente le autorità centrali irachene e regionali curde – per evitare duplicazioni inutili.
«I curdi ci chiedono armi contro i blindati e i carri armati di cui si sono impossessati gli islamisti. Vogliono in particolare mortai e razzi, ma anche fucili e munizioni», spiegano fonti della Difesa. Ecco perché il ministro Pinotti ha tenuto a precisare, nel corso dell’incontro in Parlamento, che saranno consegnate armi di «difesa personale» e di «difesa d’area». In gergo militare, significa mitragliatrici pesanti e appunto razzi anticarro. «Per armi leggere – ha detto – si intende mitragliatrici che usavano le nostre forze armate e che non usano più, munizioni e razzi anticarro». Nell’arsenale segreto c’erano ben 11 mila razzi Rpg, oltre a 30 mila kalashnikov e 5000 razzi katiuscia. Oltretutto sarà un contributo «a costo zero», salvo le spese di trasporto, considerato che si manderanno armi sequestrate o dismesse.
Fin qui, il possibile contributo italiano. C’è poi quello massiccio degli americani e quello altrettanto solido annunciato da Francia, Gran Bretagna e Germania. Ma basterà questo riarmo dei curdi a fermare l’avanzata dell’Isis e a salvare dal genocidio le minoranze cristiane, yazide e sciite finite nel mirino dei fanatici islamisti? Secondo gli analisti dell’intelligence italiana, valutazioni condivise con gli stati maggiori, i peshmerga potrebbero rovesciare la situazione, tanto più se reagiranno adeguatamente anche le milizie sciite e l’esercito regolare a Sud, ma soltanto se proseguiranno i martellanti bombardamenti aerei americani. Sarà la copertura aerea, oltretutto guidata in maniera infallibile dai satelliti, a fare la differenza sul campo e a cambiare i rapporti di forza. Se invece gli Stati Uniti decidessero di disimpegnarsi dal conflitto troppo presto, allora si teme un nuovo rovesciamento di fronte. Ecco perché, secondo il governo italiano, è indispensabile che la lotta ai terroristi dell’Isis venga portata avanti anche dall’Ue nel suo complesso. L’obiettivo è (anche) non far sentire soli gli Stati Uniti di fronte al mondo arabo sunnita.
La partita militare s’intreccia indissolubilmente con quella diplomatica. Per Roma, occorre che gli europei in Kurdistan ci siano e non in ordine sparso. La presenza di Matteo Renzi a Baghdad risponde, tra l’altro, anche a questa esigenza. Quando il premier sottolinea che chi pensava a un disimpegno europeo «non ha capito questo Semestre», è evidente qual è la sottolineatura.
E quando il ministro degli Esteri Federica Mogherini replica che il vertice di Berlino a quattro – Germania, Francia, Russia e Ucraina – comunque non ci esclude «perché ci sono costanti contatti», è una forma elegante di fare buon viso. Anche se poi la frecciatina non manca: «È vero, c’è distanza tra la nostra visione e quella di altri, che non mettono a fuoco, o lo fanno in modo meno nitido di noi, il livello della minaccia di questo Medio Oriente e questo Mediterraneo contro l’Europa».
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