Spending Review, Renzi chiede 3 miliardi di tagli alla Sanità. Il Governo annuncia: “I servizi non si taglieranno, non ci sono però aree intoccabili”
E’ la sanità l’obiettivo numero uno del governo alla caccia di 20 miliardi per la manovra 2015. Il piano al quale stanno lavorando al ministero dell’Economia non dovrebbe toccare i servizi, ma incidere sugli enormi sprechi di efficienza che sono emersi dai monitoraggi degli ultimi mesi. Nel mirino ci sono i costi delle forniture e degli approvvigionamenti. Un progetto ambizioso che è stato già oggetto di colloqui tra il ministro dell’Economia Padoan e la titolare della Sanità, Lorenzin.
Il dossier caldo dei tagli alle spese è stato affrontato ieri durante il Consiglio dei ministri con un primo giro di tavolo. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha chiesto ai vari dicasteri relazioni scritte, ma – sintomo della tensione che si addensa sul comparto – ieri pomeriggio il premier ha incontrato la Lorenzin che si è recata a Palazzo Chigi. “Spero che i tagli non riguardino la sanità”, ha ripetuto ieri il ministro della Sanità. L’allarme c’è ma il governo sembra abbastanza determinato: i servizi non si taglieranno, non ci sono però aree intoccabili. “Non c’è scritto Croce Rossa”, era la battuta che girava ieri.
Se da una parte il cerchio si stringe sui tagli alle inefficienze sanitarie, dall’altra il governo assicura che le pensioni non saranno toccate e che l’intenzione in una fase come questa, dopo il terzo anno di recessione (il dato negativo viene ormai considerato scontato anche quest’anno), è quella di continuare con la riduzione delle tasse. Il Tesoro è convinto che l’operazione 80 euro per essere efficace ha bisogno di diventare strutturale e dunque essere confermata. Ma soprattutto – novità delle ultime ore – ci sarà un ulteriore taglio dell’Irap e, se si potrà, un intervento di semplificazione sul ginepraio della Tasi.
La partita resta tuttavia assai complessa. Escludendo il Welfare, sul quale continuano a giungere dai massimi livelli rassicurazioni, la torta aggredibile si riduce. Considerando 6 miliardi dalla spending review sui vari dicasteri, non restano molte altre zone di caccia. La lotta all’evasione, sulla quale lo stesso premier Renzi aveva detto di contare per 3 miliardi, risulterebbe di assai difficile quantificazione. Anche la spesa per interessi, in diminuzione dopo le mosse della Bce, darebbe “alcuni miliardi” ma si agirà con molta prudenza perché non è assolutamente certa la futura stabilizzazione dei mercati.
Il tavolo europeo, sul quale l’Italia potrebbe giocare le sue carte, non è affatto in discesa. Anzi, di richieste di sconti (dalle infrastrutture, ai fondi europei alla Cig) non si parla neppure. Anche la parola “flessibilità”, sebbene in cambio di riforme, sembrerebbe tabù e lo stesso ministro delle Finanze tedesco Schauble avrebbe suggerito al nostro governo italiano di non parlarne neppure, pena la reazione dei mercati. L’unica strada su cui può contare l’Italia è il percorso che porta a quella che viene definita “premialità”: fare le riforme istituzionali, la pubblica amministrazione e il job act, e poi contare che in aprile, quando ci sarà la valutazione della legge di Stabilità da parte della Ue, ci siano consentiti ulteriori margini.
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