Riforma del lavoro: voto di fiducia da parte del Senato. Il premier Renzi: “Non temo agguati”
E’ il giorno della fiducia. La discussione in aula al Senato sul ddl delega sul Jobs act è ripresa stamattina. Oggi è attesa la richiesta di fiducia da parte del governo sul testo, così come modificato da un emendamento del governo. Il voto dovrebbe arrivare entro questa sera.
Il premier Matteo Renzi tira quindi dritto sulla riforma del mercato del lavoro. «Non temo agguati del Pd – ha detto ieri – E’ naturale che tutti nel partito votino come sempre».
E’ ottimista il presidente del Consiglio, al quale, alla vigilia del vertice Ue di Milano, era arrivata da fonti del governo tedesco un informale sostegno della Cancelliera Merkel. La fonte berlinese, pur «non esprimendo giudizi» sulle dinamiche parlamentari di uno Stato dell’Unione e sulla riforma in sé, ha comunque detto che «semplificare l’accesso dei giovani al lavoro è certamente un modo per combattere la disoccupazione giovanile».
Ma i dissensi nella minoranza restano. L’ex segretario Pier Luigi Bersani ritiene la fiducia una «forzatura» ma, alla vigilia di un voto sul filo, sostiene che comunque serve «responsabilità e lealtà».
Renzi aveva incontrato ieri mattina i sindacati a Palazzo Chigi e subito dopo le imprese. Apre il confronto con le parti sociali (parlando alla fine di «sorprendenti punti di intesa»), ma per la Cgil non è affatto la riapertura di una stagione di concertazione: ha «ripetuto cose note», «nessuna risposta» e «nessuna disponibilità», il governo «va avanti su scelte sbagliate», è in sintesi la bocciatura che arriva al termine dell’incontro dal segretario generale Susanna Camusso. Che conferma «il giudizio negativo» sul Jobs act (con la scelta della fiducia che «radicalizza» l’assenza del confronto) e il «totale dissenso» sulle modifiche all’articolo 18 e sul demansionamento. Insomma, dice, restano tutte confermate le ragioni alla base della manifestazione nazionale del 25 ottobre, in piazza San Giovanni a Roma. Manifestazione a cui Cisl e Uil confermano, ancora una volta, che non parteciperanno (il 18 ci sarà la mobilitazione della Cisl a livello territoriale). Non c’è una vera e propria apertura di merito da parte di Cisl e Uil che però apprezzano l’avvio del dialogo: «Anche sull’articolo 18 ci sono state aperture del governo che prevede il reintegro per i licenziamenti disciplinari» che verranno precisati nel decreto delegato, dice il segretario generale aggiunto della Cisl, Annamaria Furlan, che oggi ufficialmente prende il posto di Raffaele Bonanni, dopo le sue dimissioni, alla guida del sindacato di via Po. A suo avviso, l’incontro di ieri può rappresentare un momento «di svolta» nelle relazioni tra governo e parti sociali. Visto che a questo seguiranno, come annunciato dallo stesso Renzi, nuovi incontri, con il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, il 27 ottobre sulla legge di stabilità e con il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, sulla riforma del lavoro. Parla dell’incontro a Palazzo Chigi con una «valenza più politica che sostanziale», il numero uno della Uil, Luigi Angeletti, aggiungendo che «se poi la sostanza ci sarà, lo vedremo in concreto».
Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, dopo l’incontro, si limita ad osservare, parlando delle riforme, che «il diavolo non sta nelle imprese». Diversi i temi toccati dal premier: i tre punti della sfida lanciata ai sindacati e cioè legge sulla rappresentanza sindacale (su cui c’è il sì della Cgil ed il no della Cisl e della Uil), contrattazione decentrata e salario minimo. I primi due punti non rientreranno comunque nell’emendamento sulla delega.
Sul tavolo anche il capitolo degli ammortizzatori sociali e i temi più scottanti quali il Tfr e l’articolo 18. Sui licenziamenti disciplinari, Renzi ha detto chiaramente che le fattispecie in cui mantenere il reintegro (come chiesto nel documento approvato dalla direzione del Pd) saranno chiarite nel successivo decreto legislativo. Sulla necessità di precisare questi casi insiste Ncd, altrimenti viene meno «gran parte del significato della eliminazione dell’articolo 18», avverte il leader Angelino Alfano.
Sel intanto ha ritirato gran parte degli emendamenti al Jobs act (mantenendone 40-50 dai 300-350 iniziali). Anche M5s si è detta disponibile a ritirarne gran parte dei propri per «togliere qualsiasi alibi al governo» a porre la questione di fiducia. Ma la fiducia c’è.
E i conti restano aperti in casa Pd, con parte della minoranza sul piede di guerra. Il deputato Pippo Civati, che già in mattinata aveva sostenuto che «alcuni senatori per propria iniziativa non parteciperanno al voto», si rivolge poi anche al capo dello Stato, Giorgio Napolitano, sostenendo che la fiducia sul Jobs act «perpetra una prassi deprecabile» su una materia «delicata» e chiedendo «un Suo richiamo ad un maggiore rispetto di ruoli e prerogative istituzionali e al corretto uso degli strumenti normativi». Oggi il voto nell’Aula di Palazzo Madama, su un testo che sarebbe già stato bollinato dalla Ragioneria generale.
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