Giallo sulla morte di Pantani, la procura di Forlì apre un’inchiesta per Associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva e alla truffa
Da quell’incubo ne è uscito solo da morto, dopo aver urlato al mondo la sua rabbia: “Mi hanno fregato”. Oggi un magistrato prova a dar voce al grido sordo di Marco Pantani. La procura di Forlì ha aperto un’inchiesta sui fatti mai chiariti di Madonna di Campiglio ’99, il capolinea del Pirata, uno dei momenti più drammatici nella storia del ciclismo e dello sport italiano. Associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva e alla truffa, questo il reato ipotizzato nel fascicolo aperto dal procuratore capo Sergio Sottani e dal sostituto Lucia Spirito, per scoprire cosa si nascondesse dietro le acque torbide che hanno inghiottito la carriera del campione di Cesenatico, e su cui da anni si addensano i sospetti di complotti inquietanti, minacce esplicite e manipolazioni del circuito delle scommesse clandestine. Con l’ombra della camorra a fare da sfondo.
È il 5 giugno 1999 quando un controllo dell’Uci per la salute degli atleti chiude, a due sole tappe dalla fine, il Giro d’Italia di Pantani, lanciato in maglia rosa verso il trionfo di Milano: ematocrito alto, 51.9, 1.9 punti sopra il limite di tolleranza, e sospensione immediata dalla corsa. Poco importa che la sera prima nella stanza dell’hotel Turing e, poi, quando nel pomeriggio si ferma a Imola in un laboratorio accreditato per effettuare un nuovo esame, il valore sia 48, e quindi entro i limiti. Una provetta che non ha scelto personalmente e portata via in una tasca della giacca dal medico – violazioni del protocollo che avrebbero potuto invalidare il test – una provetta forse surriscaldata, per colpa o per dolo, che secondo l’ipotesi della procura avrebbe prodotto parametri anomali di piastrine non giustificabili con l’alterazione dell’ematocrito. Sangue deplasmato, si dice in gergo.
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