Trattativa Stato-Mafia, i Giudici di Palermo arrivano al Quirinale per interrogare Napolitano
Quirinale “blindato” per la testimonianza del presidente Napolitano nel processo sulla trattativa fra mafia e Stato. Sotto gli arazzi del Salone del Bronzino, da quella porticina da cui solitamente escono i leader dei partiti dopo le consultazioni col capo dello Stato per presentarsi ai giornalisti, stamattina entrerà invece la Corte di assise di Palermo. Per raccogliere, dopo tensioni e polemiche infinite, per la prima volta una testimonianza di un presidente della Repubblica che apre le porte del Colle alla magistratura. Misure di sicurezza rigidissime. Arrivo per la quarantina di persone del dibattimento (il presidente Alfredo Montalto, con giudici a latere e otto giudici popolari, i cinque pm, l’avvocato dello Stato, i legali degli imputati, compreso quello di Riina) inderogabilmente fissato fra le 9.15 e le 9.40.
Per il Quirinale potrebbe essere ammesso ad assistere all’udienza il segretario generale Donato Marra, e magari anche qualcuno dei più stretti collaboratori del capo dello Stato. Niente telefonini, tablet, registratori, qualsiasi apparecchiatura audio e video bandita. Giornalisti non ammessi.
Alle dieci Giorgio Napolitano è chiamato a raccontare quel che gli disse Loris D’Ambrosio a proposito di «indicibili accordi», e a riferire anche ciò che sa su un attentato che la mafia avrebbe progettato contro di lui nel 1993, quando era presidente della Camera. Due capitoli che, secondo la procura di Palermo, potrebbero aiutare a chiarire se Cosa Nostra e pezzi delle istituzioni strinsero uno sciagurato patto negli anni terribili delle stragi.
Sulle preoccupazioni di D’Ambrosio, Napolitano ha già spiegato di non aver nulla di specifico da riferire. Sul progetto di attentato del ‘93, in questi giorni è andato a scavare nei suoi archivi, a rintracciare eventuali documenti dell’epoca, attraverso anche l’ufficio affari giuridici e l’ufficio affari della giustizia del Quirinale. Napolitano venne informato all’epoca di quel progetto mafioso, saltato fuori adesso da una velina del Sismi (che citava anche Spadolini), e quali furono le sue reazioni? Saranno le domande chiave dei pm palermitani che “inseguono” il teorema dell’accusa: le minacce delle cosche agli uomini dello Stato per costringerli a firmare patti con la Cupola. Ma se questa è la pista che li ha portati fino al Colle, secondo gli umori che circolano al Quirinale i pm sono del tutto fuori strada. O a caccia di obiettivi politici.
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