Isis, Al Baghdadi ferito dopo raid aereo. Gli islamisti smentiscono: “L’Emiro sta bene e gli auguriamo pronta guarigione”
Vivo ma ferito, ricoverato in un ospedale-bunker e ancora in grado di guidare i suoi miliziani della Jihad oppure in fin di vita, o forse addirittura già morto: la sorte di Abu Bakr al Baghdadi, il «Califfo Ibrahim» dello Stato Islamico (Isis) è al centro di un giallo che riporta l’attenzione sulla campagna aerea della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti.
Sono infatti i jet dell’Us Air Force che nelle prime ore di sabato colpiscono nell’arco di pochi minuti due obiettivi nell’area di Al-Qaim, nell’Anbar iracheno. Si tratta di un convoglio di dieci mezzi blindati dello Stato Islamico e di un edificio dove i leader jihadisti sono soliti incontrarsi. Guidati dall’intelligence elettronica, o forse dai raggi «illuminanti» di informatori sul terreno, i jet rovesciano un diluvio di fuoco sugli obiettivi che si trovano a ridosso del confine fra Iraq e Siria ovvero nel cuore del Califfato che Abu Bakr al Baghdadi ha proclamato il 29 giugno scorso.
La strada colpita è una delle arterie nel deserto iracheno che i jihadisti più adoperano per spostarsi nella «Provincia dell’Eufrate», fra Mosul e Raqqa, loro capitale. Per il portavoce del Comando Centrale di Tampa, Florida, da cui dipendono le operazioni della coalizione guidata dagli Usa, il raid «dimostra la pressione che continuiamo ad esercitare su Isis ostacolandone movimenti, manovre e comandi». Testimoni locali ad Al-Qaim descrivono alle tv arabe «grande confusione», «molte vittime, forse 50» e parlano dell’ospedale locale «completamente requisito» da Isis, mettendo in fretta e furia sulla strada chi vi era ricoverato.
Nel pomeriggio di sabato rimbalzano, dalla tv saudita Al-Hadath a quella Al Manar di Hezbollah, indiscrezioni sulla possibilità che il Califfo Ibrahim sia stato colpito. Si parla della morte del portavoce Abu Muhammad Al Adnani e di altri capi di Isis in Iraq, alcuni assieme ai figli. Impossibile avere conferme ma il tam tam dilaga, sull’etere e sul Web, mettendo in evidente difficoltà lo Stato Islamico che è una nazione vera propria, si estende dalla periferia di Aleppo a quella di Baghdad e vede i jihadisti del Califfo esercitare il potere assoluto su oltre dieci milioni di anime. Ma è uno Stato creato a immagine e somiglianza del Califfo Ibrahim, senza il quale sarebbe a rischio.
Nel tardo pomeriggio di ieri arriva così la smentita, con un twitter in arabo dall’account del portavoce Abu Muhammad Al Adnani. «Se pensate che il Califfato sia finito con il martirio del Califfo – scrive – posso assicurare alla nazione islamica che l’Emiro Abu Bakr al-Baghdadi sta bene e gli auguriamo pronta guarigione». In sostanza significa che il Califfo è stato ferito ma è sopravvissuto e resta in grado di guidare l’esercito di jihadisti che assedia Kobani, insidia Baghdad e si prepara alla battaglia di Aleppo. E Al Adnani sarebbe anch’egli ancora vivo.
Il colonnello Patrick Ryder, del Comando di Tampa, commenta: «A bordo dei 10 veicoli colpiti c’erano i leader di Isis ma non sappiamo se sono vivi». Da Baghdad arriva la conferma sul «ferimento di Al Baghdadi» con un comunicato dei ministeri di Interni e Difesa: «È stato colpito mentre incontrava dei militanti ad Al Qaim». Il premier Haider Al Abadi ironizza sugli Usa: «Ce l’hanno fatta a colpire i capi». Ma il twitt di Al Adnani innesca una tempesta sul Web: c’è chi lo reputa falso, accusando i finanziatori del Golfo di voler nascondere la morte del Califfo, e chi vi legge il tentativo di Isis di rassicurare i seguaci in attesa del nome del successore.
Il giallo sul super-terrorista – con taglia Usa sul capo di 10 milioni di dollari – lascia intendere che satelliti e droni di più nazioni lo stanno cercando, vivo o morto. Per la Casa Bianca reduce dallo smacco di Midterm significa restituire smalto ad un’offensiva aerea in cui nessuno sembrava più credere. Ma per i jihadisti l’incertezza su al Baghdadi rafforza il mito dello «sceicco invisibile», come lo chiamano sottolineando la caratteristica che lo distingue dal predecessore Abu Musab al Zarqawi: profilo sempre basso per sorprendere gli avversari.
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