Jobs Act, tovato l’accordo tra minoranza Pd e governo. Ncd attacca duramente il nuovo testo: “La Maggioranza è a rischio”
Sul Jobs act il Pd trova un’intesa dopo una mattinata di delicatissime trattative tra minoranza, maggioranza e governo. In sintesi: l’esecutivo non metterà la fiducia sul ddl lavoro alla Camera ma saranno introdotte alcune modifiche sulle quali si voterà. Sì al reintegro per i licenziamenti discriminatori e per quelli disciplinari senza giusta causa in determinate fattispecie. E più fondi da destinare agli ammortizzatori sociali nella manovra economica. L’intesa, però, è già a rischio. Ncd attacca e parla addirittura di «maggioranza a rischio». «Se il testo è quello letto nelle agenzie è inaccettabile» dice il presidente della commissione Lavoro, Maurizio Sacconi, a Palazzo Chigi nel pomeriggio assieme a Nunzia De Girolamo, deputata Ncd: «Urge vertice, o la maggioranza si rompe». Non è noto con chi si siano incontrati De Girolamo e Sacconi, usciti da Palazzo Chigi dopo circa un’ora di colloquio: «È stato un incontro informale, non vorremo aggiungere altro», dichiara De Girolamo, capogruppo Ncd alla Camera. Di poche parole anche il capogruppo al Senato, Sacconi: «Si continua a trattare», ha chiosato parlando con i giornalisti. Come dire: «la partita è tutta aperta, si tratta, è stato un incontro» avvenuto per «cortesia istituzionale», rilanciano De Girolamo e Sacconi.
Lo stop del ministro Boschi
Lo scontro politico, intanto, si infiamma. Anche a distanza. De Girolamo twitta: «Alfano chiederà vertice ufficialmente». Ma dal ministro Boschi giunge uno stop secco: «Incontro che non serve». Il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, poi chiarisce il senso del «niet». «Non sono necessari vertici di maggioranza. Qui stiamo discutendo con tutti i partner della maggioranza. È sufficiente il lavoro parlamentare». L’inizio dell’esame del Jobs act, da parte della commissione Lavoro di Montecitorio, è previsto per venerdì alle 11.30. Il primo step sarà l’ammissibilità degli emendamenti, circa 550 in tutto. Il voto comincerà domenica alle 16 e proseguirà fino a giovedì della prossima settimana; venerdì il provvedimento arriverà in aula alla Camera, che dovrà dare il via libera entro mercoledì 26, per poi ripassare al Senato.
Renzi: «La partita è chiusa»
In serata, arriva dalla Romania (dove è in visita) il commento del presidente del Consiglio, Matteo Renzi: «Il 1 gennaio entreranno in vigore le nuove regole sul lavoro. È un grandissimo passo in avanti». Quello che sta emergendo nella mediazione sul jobs act «è tutto quello che è stato deciso nella direzione del Pd», ha aggiunto Renzi: «Bene così, andiamo avanti». Non bastasse, chiarisce: con il Jobs act si interverrà sul «meccanismo dell’articolo 18 che va finalmente superato». «La partita è chiusa, il Parlamento voterà nelle prossime ore – prosegue il premier – e dal primo gennaio ci saranno nuove regole sul lavoro, minori costi per gli imprenditori, più soldi in busta paga per i lavoratori, una riduzione delle forme contrattuali»: «non si tolgono diritti ma si riducono gli alibi».
Speranza: «Modifiche rilevanti»
Prima che Ncd insorgesse, il capogruppo Pd alla Camera, Roberto Speranza, aveva spiegato: «Abbiamo deciso di fare modifiche rilevanti. Non ci sarà la fiducia sul testo uscito dal Senato ma ci sarà un lavoro in commissione. Si riprenderà l’ordine del giorno approvato in Direzione». Replica, anche questa volta via Twitter, di Nunzia De Girolamo a Speranza: «Il Jobs Act è troppo importante: calendarizzare subito! Ma spieghiamo a Speranza che il Parlamento non è il luogo di ratifica della direzione Pd». Insiste anche Sacconi: «Non basta che la direzione del Pd abbia trovato un accordo sul Jobs Act per “sdoganare” il provvedimento, serve anche una riunione di maggioranza». E l’accordo è frutto di un compromesso faticoso, trovato in casa Pd. Genesi complessa sintetizzata dalle parole di Stefano Fassina, tra i leader della minoranza Pd. «Non voterò la fiducia su una delega in bianco. Noi non vogliamo rallentare le riforme, però vogliamo migliorarle». D’altra parte, aggiunge Fassina, «mettere una fiducia in bianco su una delega che riguarda i diritti fondamentali dei lavoratori diventa a mio parere un problema di rilievo costituzionale. In un clima così complicato come quello che stiamo vivendo sarebbe una forzatura, negare la possibilità di discutere allontana ancora di più dalle istituzioni i cittadini».
Boldrini: voto finale il 26 novembre
Tenere il voto finale sul jobs act alla Camera entro il prossimo 26 novembre: è la proposta di mediazione della presidente della Camera Laura Boldrini su cui l’Aula di Montecitorio voterà lunedì 17 alle 16. Il governo aveva inizialmente chiesto il voto finale sul testo il 22 novembre. Per Boschi, l’aver fissato questa data è «un successo per il governo che ha chiesto e ottenuto una data finale certa. C’è urgenza di ripartire con l’economia nel nostro Paese».
Gasparri (Fi): «Finta riforma che non cambia nulla»
Getta benzina sul fuoco Maurizio Gasparri, senatore di Fi: «Sulla riforma del lavoro Renzi ha ceduto al diktat della sinistra del Pd. Ora che dirà Sacconi? È una finta riforma che non cambia nulla e non crea lavoro. Renzi si è fatto beffe delle imprese, della modernizzazione e del Nuovo centro destra».
Poletti: «Su Jobs act linea Pd è definita»
Per nulla d’accordo il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti: «La definizione, da parte del gruppo Pd della Commissione Lavoro della Camera, delle posizioni che saranno sostenute sugli emendamenti alla legge delega di riforma del mercato del lavoro, rende certa l’approvazione del provvedimento nei tempi richiesti dal Governo e ne conferma i contenuti». Ora si attende solo il passo finale: il voto del 26 novembre.
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