Stati Uniti, Obama cambia le regole dell’ immigrazione: 5 milioni di clandestini potranno restare negli Usa. “Anche noi siamo stati stranieri”
«Noi non siamo così, non cacciamo le persone che vengono nel nostro paese per lavorare duro e assicurare un futuro migliore ai loro figli». Barack Obama si è appellato ai valori più alti degli Stati Uniti, e ai sentimenti più nobili degli americani, per spiegare i motivi profondi che lo hanno spinto a cambiare le regole dell’immigrazione per decreto. Quindi, citando le Sacre scritture, ha aggiunto: «Noi non opprimeremo lo straniero, perché conosciamo il suo cuore. Anche noi, un tempo, siamo stati stranieri».
Obama ha parlato al paese ieri sera alle 20 dalla Casa Bianca, anche se le principali televisioni commerciali non hanno trasmesso il suo discorso per non interrompere i programmi della fascia prime time. Negli Usa vivono circa 12 milioni di immigrati illegali. La grande maggioranza sono brave persone venute a lavorare, che hanno creato famiglie. Molti però rischiano di essere deportati e divisi dai loro affetti, perché non hanno i documenti in regola. Obama aveva promesso di sanare questa situazione nel 2008 e nel 2012, e aveva adottato il programma DACA che evita l’espulsione dei figli degli illegali portati negli Usa quando erano bambini. Nei mesi scorsi il Senato aveva approvato una legge di riforma bipartisan, ma la Camera dominata dalla corrente più conservatrice del Partito repubblicano l’ha bloccata. Ieri sera quindi il presidente ha rotto gli indugi, annunciando una serie di ordini esecutivi che cambiano le regole.
Quattro milioni di illegali otterranno il permesso di vivere e lavorare negli Usa, se hanno figli nati in America, sono nel paese da almeno 5 anni e non hanno avuto problemi con la legge. Un altro milione verranno protetti dalla deportazione, alzando l’età entro cui dovevano essere entrati da bambini per non incorrere nell’espulsione. Nessuno però riceverà la sanità pubblica o altri benefici statali, per evitare l’accusa che Obama ha aperto le porte per sostenere la sua riforma. Questo ha provocato critiche nella comunità ispanica, ma la Casa Bianca non vuole correre il rischio di compierre atti che potrebbero risultare poi illegali. Il ministro della Giustizia del Texas, infatti, ha già annunciato che farà causa al presidente per violazione della Costituzione. Nello stesso tempo il governo aumenterà il numero dei visti concessi agli studenti stranieri che vogliono fermarsi negli Usa a lavorare, rispondendo così ad una richiesta venuta in particolare dalle aziende della Silicon Valley, per tenere i talenti sviluppati dai centri di istruzione americani.
Obama ha giustificato la sua iniziativa dicendo che è corretta verso le persone beneficiate, conviene al paese che è basato sull’immigrazione, e rispetta i suoi principi fondanti: «Noi vogliamo espellere i criminali, non le madri che faticano per allevare al meglio i loro figli». Quindi ha annunciato che aumenterà le risorse degli agenti impegnati nel controllo delle frontiere, dove comunque gli ingressi illegali sono già scesi al livello più basso dagli anni Settanta. Secondo lui i suoi decreti non rappresentano un’amnistia, perché gli illegali dovranno assumersi la responsabilità di aver violato la legge, e non riceveranno la cittadinanza. Quindi ai parlamentari repubblicani che lo accusano di violare la Costituzione con la sua iniziativa, ha risposto con un atto di sfida: «Ho l’autorità legale per emettere questi ordini, ma la soluzione migliore per me resta sempre quella di una legge approvata dal Congresso. Votate una riforma dell’immigrazione, e io abolirò subito i miei provvedimenti».
I suoi avversari del Gran Old Party, come gli americani chiamano il partito che era stato di Lincoln, hanno risposto con durezza, dandogli dell’imperatore: «Il fatto che il presidente abbia cambiato idea – ha detto lo Speaker della Camera Boehner – non significa che anche la Costituzione sia cambiata». Prima ancora del suo discorso, il nuovo leader del Senato, McConnell, lo aveva avvertito: «Se sfiderà la volontà del popolo, il Congresso agirà». Il suo collega Coburn aveva aggiunto che «ci saranno casi di anarchia, e forse violenza». Le ipotesi considerate dai repubblicani vanno dallo “shutdown” del governo, cioè il blocco delle attività dello stato negandogli i fondi, fino all’impeachment del presidente. La Casa Bianca risponde che il presidente ha l’autorità legale per agire su questa materia, perché tocca a lui stabilire le regole per le deportazioni, e ha ricevuto per due volte il mandato politico per affrontarla, vincendo le elezioni del 2008 e quelle del 2012 con la promessa di fare la riforma dell’immigrazione.
Di sicuro il passo compiuto ieri segna una rottura netta con il Congresso, e apre una fase di scontro fra democratici e repubblicani che durerà fino alle presidenziali del 2016. Dopo la sconfitta nelle elezioni midterm del 4 novembre scorso, Obama ha deciso subito che doveva reagire dimostrando di non accettare il ruolo dell’anatra zoppa. L’immigrazione per lui era il terreno giusto perché da una parte gli consente di mantenere una vecchia promessa elettorale, che servirà a ricompattare gli ispanici con il Partito democratico, nella coalizione già vittoriosa nel 2008 e nel 2012. Dall’altra, gli ordini esecutivi uccideranno sul nascere quasi ogni possibilità di collaborare con il nuovo Congresso dominato dai repubblicani, sperando che questo scontro faccia emergere l’ala più estremista del Grand Old Party, impopolare tra i moderati, in vista delle presidenziali del 2016.
I repubblicani invece sono convinti che le decisioni di Obama provocheranno una reazione così negativa da parte degli altri gruppi della società americana, da compromettere le prospettive politiche dei democratici. E’ una sfida appena cominciata, che durerà per i prossimi due anni, estendendosi anche ad altri temi come la protezione dell’ambiente. Una campagna elettorale già avviata, per decidere il futuro degli Stati Uniti.
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