Crisi economica, Padoan scrive all’Ue: “Il Governo italiano ha un piano da 0,7 punti di Pil l’anno. Credete nelle nostre riforme”
Le prospettive per il 2015 sono di una ripresa «timida e fragile». E «come voi ben sapete», dall’inizio della crisi «l’Italia ha perso un decimo del suo prodotto interno lordo». L’uso insistito dello scambio epistolare inizia a somigliare sempre di più a quello fra due parti in causa. Si tratta in realtà del tentativo di formalizzare i termini di una trattativa per ora molto politica e poco formale. Piercarlo Padoan ha preso ancora carta e penna per rivolgersi ai nuovi titolari del dossier conti pubblici a Bruxelles. «Caro Valdis, Caro Pierre». Il primo è Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione incaricato di seguire i bilanci degli Stati membri, l’altro è Pierre Moscovici, commissario agli Affari monetari. L’analisi del ministro è brutale, l’ottimismo intatto. «Sono fiducioso che lo sforzo senza precedenti nel programma di riforme avrà chiaro appoggio dalle istituzioni europee». Il piano del governo «è coerente con le raccomandazioni volte a aumentare competitività e crescita» e i «prossimi mesi saranno cruciali». Padoan elenca «il pacchetto di riforme strutturali» finora introdotte dal governo, a partire dal Jobs Act, che «darà ancora più stabilità al sistema previdenziale». Il testo parla esplicitamente di una «timeline» allegata della quale però nel documento pubblicato non vi è traccia.
Martedì prossimo l’esecutivo comunitario si riunirà per dare i giudizi sui bilanci di tutti i partner europei. Se dipendesse dall’ala oltranzista, l’Italia dovrebbe tirare fuori dal cassetto altri fondi per garantire il rispetto dell’«aggiustamento strutturale» ben oltre lo 0,38 per cento. Ma – ragiona la lettera – «il consolidamento fiscale dell’Italia è già stato impressionante». E «nonostante questo sul debito pesa una crescita nominale molto bassa». Non solo: «Se il debito è aumentato, non è stato a causa di una cattiva politica fiscale», semmai «riflette il contributo concesso per aiutare altri Paesi e il piano di pagamento degli arretrati della pubblica amministrazione». Quel che la lettera non dice, ma che implicitamente ammette, è che l’Italia è in ritardo con le privatizzazioni. «Vorrei ribadire l’impegno del governo italiano ad un piano da 0,7 punti di Pil l’anno». La strada è tracciata: la lettera serve a evitare che la Commissione chieda all’Italia nuove correzioni e a concedere al governo altri quattro mesi di tempo per dimostrare che la flessibilità è funzionale alle riforme messe in cantiere. Juncker e i suoi commissari tireranno le somme a marzo: se per allora i progressi non saranno stati soddisfacenti, allora Bruxelles aprirà una procedura di infrazione e ci chiederà nuovi sacrifici.
Visto il contesto, non è difficile immaginare perché le modifiche alla Camera alla legge di Stabilità puntino a confermare i saldi già decisi. È il caso del bonus bebé da 80 euro al mese: Renzi l’aveva promesso a tutte le neomamme con un reddito fino a novantamila euro l’anno, ora è deciso che verrà concentrato su chi ne guadagna al massimo 25mila; sotto i settemila euro l’assegno raddoppierebbe a 160 euro. Per ottenerlo occorrerà compilare il modulo Isee. Se il governo aveva promesso 500 milioni in più per finanziare la riforma degli ammortizzatori sociali, ora ne sono rimasti 400 in due anni. Tutti chiedono una riduzione dell’aumento della tassazione sui fondi pensione dall’11 al 20 per cento eppure – raccontano i ben informati – Tesoro e Palazzo Chigi sono molto cauti, nel timore di far venire meno le entrate che quell’aumento garantirebbe. I tagli ai Comuni restano confermati – 1,2 miliardi nel 2015 – ma c’è il sì ad una misura promessa da tempo: i sindaci che decideranno di mettere insieme i propri servizi avranno l’esclusione dal Patto di stabilità interno per ben cinque anni.
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