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Parco della Musica, Wagner-Liszt-Berlioz tris musicale d’eccezione per la direzione di Kent Nagano e l’orchestra dell’Accademia S.Cecilia

Parco della Musica, Wagner-Liszt-Berlioz tris musicale d’eccezione per la direzione di Kent Nagano e l’orchestra dell’Accademia S.Cecilia

di Sergio Prodigo

La perfezione del trinomio Wagner-Liszt-Berlioz di scena sabato 5 dicembre all’Auditorium del Parco della Musica: così s’intenderebbe, ma nella particolare ottica del raziocinio musicale, l’atteso ed eccellente evento concertistico dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, diretta da Kent Nagano (con la partecipazione del pianista Benjamin Grosvenor). In effetti, la proposizione dell’“Ouverture e Venusberg” del “Tannhäuser” (Wagner), del “Concerto n. 2” in la maggiore per pianoforte e orchestra (Liszt) e della “Symphonie fantastique” op.14 (Berlioz) può costituire e rappresentare una logica consequenzialità programmatica, poiché racchiude e assembla comunanze e affinità di stile, di strutturalismi timbrici, di arditezze armoniche, di procedimenti ciclici, di progettualità estetiche e, non ultimi, di rapporti interpersonali. Il tutto, tra l’altro, pone al centro proprio l’opera e il ruolo, svolti da Liszt nel contesto socio-musicale dell’epopea romantica: l’ungherese ne fu mentore e interprete primario, ma generosamente si prodigò a favore della musica altrui, sia per Berlioz sia (anche per altri versi) per Wagner (non va sottaciuto, inoltre, che per singolare e felice coincidenza i brani in programma dei due compositori si valsero di una eccellente trascrizione pianistica lisztiana). Certamente l’“Ouverture e Venusberg” del “Tannhäuser”, eseguita inizialmente e con rara maestria dai professori dell’orchestra ceciliana, s’impone (e, naturalmente, s’è imposta) per la sua straordinaria ricchezza tematica, pur ondivaga e alternantesi fra la ieraticità motivica dell’inno dei pellegrini e la carnale sensualità della “voluttà del monte di Venere”. Del resto, senza entrare nel merito della travagliata storia dell’opera (le varie versioni e i rifacimenti), le vicende narrate, le allegorie, il rapporto simbiotico con il testo poetico (elaborato dallo stesso Wagner, come in tutte le sue opere), l’identificazione tematica di personaggi ed eventi e il significativo apporto dell’orchestrazione rappresentano e condensano i contenuti e le caratteristiche medesime dell’intera drammaturgia wagneriana.

Magistrale – si diceva – la performance dell’orchestra ma trascinante (per il pubblico plaudente) l’interpretazione di Nagano: in taluni momenti, tuttavia, è forse apparsa irrituale, per una progressiva o eccessiva accelerazione delle fraseologie ritmiche, pur non minando la doverosa tutela del complesso insieme strumentale. Di contro, nel susseguente “Concerto n. 2” di Liszt proprio la scelta esecutiva, mirante alla coerente fusione tissutale fra le parti solistiche e orchestrali, ha evidenziato le peculiari caratteristiche di un genere formale dialetticamente diverso.
La partitura lisztiana, oggetto di svariate elaborazioni e rifacimenti (dal 1839 fino al 1861), s’avvale dei princìpi ciclici, ma è formulata secondo gli stilemi del poema sinfonico: un solo movimento, suddiviso in ininterrotte episodicità strutturali (“Adagio sostenuto assai”, “Allegro agitato assai”, “Allegro moderato”, “Allegro deciso”, “Marziale un poco meno allegro” e “Allegro animato”). Ricca di fantasmagorici virtuosismi si rivela la parte pianistica, ma sovente s’aggrega con spirito e intento concertante a quella orchestrale, non scevra da momenti di lirismo, pur se nel complesso sembrano prevalere costrutti quasi cerebrali, arricchiti di futuribili suggestioni armoniche. Del resto, la natura stessa e la concezione estetica dei tre “Concerti” per pianoforte e orchestra di Liszt (compresa la celebre “Totentanz”) non offrono o dispiegano gli squarci e gli abbandoni lirici (a volte magniloquenti), tipici dello specifico genere romantico e tardoromantico (si pensi ai “Concerti” di Chopin, di Schumann, di Čajkovskij e di Brahms). Conseguentemente l’esecuzione deve rispecchiare tale diversità: così è stato, poiché Benjamin Grosvenor, giovanissimo e talentuoso pianista britannico, validamente assecondato nell’atto performativo dal direttore, ha interpretato con estremo rigore la complessa partitura, affrontando con misurata (e smisurata!) bravura una gran mole di virtuosismi di ogni sorta ma, al tempo stesso, donando ai vari tematismi la necessaria chiarezza espressiva; grandi ovazioni del pubblico, naturalmente, ma il sospirato e più volte invocato “bis” non s’è concretato! Nella seconda parte, tuttavia, s’attendevano le fantasmagoriche visioni della “Sinfonia” op. 14 di Berlioz, la più celebre e conosciuta delle opere sinfoniche del compositore francese: attesa ampiamente ripagata da una straordinaria prova offerta dall’orchestra, sempre perfetta in tutte le sue sezioni e in grado di disvelare e palesare ogni dettaglio di una difficoltosa e (ugualmente, alla stregua d’uno strumento solista) virtuosistica scrittura. “Gli episodi della vita di un artista” (così come recita il sottotitolo della “fantastica”) si esplicano musicalmente nei cinque movimenti costitutivi: “Rêveries. Passions” (“Sogni. Passioni: Largo, Allegro agitato e appassionato assai”); “Un bal” (“Un ballo: Allegro non troppo”); “Scène aux champs” (“Scena campestre: Adagio”); “Marche au supplice” (“Marcia al supplizio: Allegretto non troppo”); “Songe d’une nuit du Sabbat” (“Sogno di una notte del Sabba: Larghetto, Allegro”). Ogni movimento della ciclica architettura sinfonica andrebbe debitamente illustrato e commentato nei contenuti sia programmatici sia estetico-strutturali, tuttavia basterà soffermare l’attenzione sul quinto per rilevarvi solo come l’aggregazione strutturale dell’atavico tematismo del “Dies irae” tenda ad assumere toni grotteschi ma utili per l’evocazione dell’orgia diabolica; la stessa mirabolante orchestrazione riesce a rendere con estremo realismo il terrificante retaggio dell’antica sequenza, grazie alla particolare e greve timbricità mista dei fagotti e delle tube – inizialmente – e, di seguito, dei corni e dei tromboni (con i significativi raddoppi di terza), sostenuta e aggravata dai tetri rintocchi delle campane: significante e determinante nello spettro contestuale la conseguente e derivata tematicità, che completa l’intento parodistico mercé l’ausilio degli strumentini, raddoppiati dai pizzicati degli archi chiari. Trascinante – come già evidenziato per il “Tannhäuser” – l’atto direttoriale di Nagano, appagante per le esigenze del pubblico ed efficace per l’esteso gradimento del pubblico ceciliano, che non ha lesinato.