Spagna, il governo tassa Google News e il Gigante del web chiude il servizio
Un terremoto online: Google ha confermato quanto scritto dal «Corriere della Sera» sulla chiusura in Spagna di Google News, il servizio che aggrega le notizie degli editori grandi e piccoli. Il rubinetto digitale sarà chiuso definitivamente. Si tratta di una mossa senza precedenti, destinata a creare uno spartiacque tra il prima e il dopo e a esacerbare probabilmente il braccio di ferro con il Parlamento e la Commissione europea dove un’inchiesta sulla concorrenza procede da quattro anni.
Il servizio di Google News è sempre stato separato dalla ricerca tradizionale, ma allo stesso tempo l’uno ha sempre alimentato l’altra. La società di Mountain View ha più volte dichiarato che le due indicizzazioni sono separate, senza nessun rapporto di causa-effetto. Gli editori o chiunque produce contenuti possono decidere di uscire dal servizio delle News, ma si tratta di un’opzione più teorica che pratica. Poco tempo fa, quando ha scelto questa strada, il gigante tedesco dell’editoria, Axel Springer, ha perso il 40% del traffico secondo i dati forniti dalla stessa società. D’altra parte quando si fa una ricerca su Google su argomenti di cronaca il motore di ricerca indicizza tra i risultati anche una finestra con le notizie. Search e News sono così lontane, eppur così vicine.
Google ha fatto sapere che non si è trattato di una decisione facile da prendere. Il capo di Google News Richard Gingras ha scritto di essere insieme all’azienda «veramente dispiaciuti di annunciare che, a causa di recenti cambiamenti nella legge spagnola sulla proprietà intellettuale, saremo costretti a rimuovere gli editori spagnoli da Google News e chiudere Google News in Spagna. I cambiamenti avverranno a partire dal 16 dicembre. Google News è un servizio apprezzato da molti utenti e crea valore per gli editori, portando lettori sui loro siti. Tuttavia, la nuova legge impone agli editori di far pagare Google News per mostrare anche piccoli snippet del loro testo, indipendentemente dal fatto che gli stessi editori vogliano farsi pagare o no. Dal momento che Google News non contiene pubblicità e non genera ricavi, questo approccio semplicemente non è sostenibile. Nonostante questi cambiamenti, continueremo a collaborare con gli editori spagnoli per aiutarli ad aumentare i loro lettori e incrementare il loro fatturato online». La mossa è dunque una reazione diretta alla nuova legge sul copyright votata dal parlamento spagnolo che «obbliga» gli editori a pretendere il pagamento di una royalty per la pubblicazione anche solo di un estratto, proprio quello che fa Google News che prende titoli e attacchi dei pezzi (i cosiddetti cribsheet ) per poi reindirizzare l’utente al sito dell’editore. La posizione della società californiana su questo punto sarebbe irremovibile: Google News non vive di pubblicità, è un servizio «offerto» agli editori – meglio sarebbe dire ai propri utenti – e dunque non sarebbe nella posizione di pagare alcunché. Segnale chiaro. Google, che finora aveva deciso di chiudersi nel classico arrocco, parte in attacco a poche settimane dal voto del Parlamento Ue sulla proposta di dividere le attività commerciali da quelle del motore di ricerca. Inoltre anche la Gran Bretagna ha appena annunciato la propria versione di una «Google tax».
La domanda che a questo punto si porranno tutti è: quale sarà il prossimo Paese? Probabilmente la società guidata dal fondatore Larry Page avrà già pianificato una strategia diplomatica per non superare il punto di rottura e si attende che, come è accaduto durante il dibattito in Spagna sulla legge, a protestare siano soprattutto i piccoli editori che senza Google News scompariranno. Ma il tema riguarda tutti: la trasformazione delle abitudini di lettura sta facendo sì che molti lettori arrivino dal motore di ricerca o dai social network come Facebook. In Germania dove è stata introdotta una legge molto simile a quella spagnola, senza però la clausola dell’irrinunciabilità da parte degli editori, si naviga per ora sulla linea di galleggiamento. La questione, possiamo esserne certi, non finirà oggi in Spagna. Anzi, siamo solo all’inizio.
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