Corigliano Calabro, sbarcati altri 400 migranti siriani. L’Europa: “La lotta all’ immigrazione è diventata la nostra priorità”
È stato concluso stamani, nel porto di Corigliano Calabro, lo sbarco dei migranti siriani dal mercantile Ezadeen, soccorso giovedì pomeriggio al largo della costa calabrese dopo che l’equipaggio aveva abbandonato i comandi. Sono giunte 360 persone, tra le quali 232 uomini, 54 donne e 74 minori, 8 dei quali da affidare perché non accompagnati da adulti. Dall’Onu arrivano parole di ringraziamento all’Italia. E anche l’Europa interviene attraverso le parole del commissario all’Immigrazione Dimitris Avramopoulos: «I trafficanti trovano nuove rotte per l’Europa e impiegano nuovi metodi per sfruttare i disperati». La lotta a queste organizzazioni criminali «sarà una priorità top» nel piano Ue complessivo sulle migrazioni.
LO SBARCO NELLA NOTTE
Il mercantile Ezadeen, abbandonato dall’equipaggio in alto mare, senza elettricità e senza controllo è arrivato in tarda serata nell’area del porto di Corigliano Calabro, sulla costa ionica cosentina. Sulla nave sono stati calati, da un elicottero, tre operatori della Capitaneria di porto di Gallipoli e tre di Taranto i quali, come ha spiegato Francesco Perrotti, comandante della Capitaneria di porto Corigliano Calabro, hanno provato a fare ripartire l’imbarcazione. Poi sono iniziate le operazioni di traino che si sono concluse soltanto intorno alla mezzanotte. Il comandante Perrotti, che ha definito l’operazione soccorso abbastanza rischiosa, ha anche evidenziato che la scelta di Corigliano Calabro è stata obbligata dal fatto che il porto di Crotone è già stracolmo di carrette del mare, utilizzate per i viaggi della speranza. A quel punto si è scelto il porto in provincia di Cosenza che era il più vicino dopo quello di Crotone e dove non ci sono altre navi abbandonate.
IL CAMBIO DI STRATEGIA
Questo è l’ennesimo episodio che conferma la nuova strategia messa in atto dai trafficanti di esseri umani: per evitare ogni pur minimo rischio di essere arrestati, lasciano le navi ingovernate, col rischio di farle finire sugli scogli. Una metodica già nota alla Guardia costiera calabrese, che si è trovata ad affrontare casi analoghi nel recente passato. Per questo tipo di «sbarchi» l’organizzazione – spiegano alla Guardia costiera – usa navi dismesse da 2-3 anni, di cui non vi è più traccia nei registri navali ma che ricompaiono misteriosamente in queste circostanze. Navi, tra l’altro, di dimensioni tali – dai 60 ai 100 metri – da consentire la navigazione anche d’inverno, col mare grosso, mentre in passato venivano usate solo vecchie carrette di pochi metri e gli sbarchi erano concentrati nella stagione estiva. Dopo la partenza da porti della Grecia o della Turchia, a distanza di sicurezza dalle coste italiane, gli scafisti inseriscono il pilota automatico – o comunque danno i rudimenti di navigazione a qualcuno dei migranti a bordo – e abbandonano la nave. A modificare l’approccio degli scafisti avrebbe contribuito anche il fatto che i profughi provenienti dalla Siria sono disposti a pagare prezzi più alti per il viaggio – in alcuni casi sino a ottomila dollari a testa – ma pretendono, come contropartita, l’uso di mezzi sicuri.
LE CONSEGUENZE SUI PORTI
Il cambio di strategia, però, oltre ad essere rischioso per i migranti e per gli stessi soccorritori – costretti a salire a bordo di navi in movimento in condizioni meteo marine spesso al limite – provoca anche un altro problema: l’occupazione delle banchine dei porti di attracco che limitano, a volte per periodi molto lunghi, le normali attività commerciali degli scali, con danni per gli operatori e l’economia della zona.
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