L’Italicum spacca il Pd. Renzi batte la minoranza interna e ‘nasce’ una nuova maggioranza: il testo passa al Senato grazie ai voti di Forza Italia
Matteo Renzi vince la sua battaglia sull’Italicum, ma il Pd si spacca e al Senato nasce di fatto una nuova maggioranza, che potrebbe eleggere anche il nuovo capo dello Stato. L’emendamento del senatore Stefano Esposito, ribattezzato «l’Espositum», che riscrive in sostanza l’Italicum e cancella la maggior parte delle altre richieste di modifica, è passato infatti mercoledì con i voti determinanti di Forza Italia.
«L’Italia va avanti – ha commentato il premier da Davos – e chi prova a interrompere tutte le volte il percorso delle riforme possiamo dire che, per il momento, non ce la fa». E’ «un grandissimo risultato», ha aggiunto, che rende «la legge elettorale molto più vicina».
«Quando finiranno le polemiche e leggeranno testo, scopriranno che Senato sta facendo una legge elettorale seria. Come promesso #lavoltabuona», è poi il tweet scritto stamani dal ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi e rilanciato dal premier.
L’Aula di palazzo Madama mercoledì prima ha bocciato le due proposte di modifica presentate dal senatore Pd Miguel Gotor e dalla minoranza Dem: la prima, quella determinante, con 170 no, 116 sì (di cui 10 di FI e 8 di Gal oltre ai 27 della minoranza Dem) e 5 astenuti; la seconda con 168 no, 108 sì e 3 astensioni. E poi ha dàto il via libera all’Espositum con 175 voti a favore, 110 contrari e due astenuti.
Ma l’ok alla norma, che secondo Calderoli sarebbe stata presentata «oltre il tempo massimo prefissato» ricorrendo a «un trucchetto di vecchia data», crea una frattura profonda tra i Dem perché rende i voti azzurri determinanti: solo 125 sono quelli che arrivano dalla maggioranza di governo, meno di quelli che servirebbero a far passare l’emendamento.
I senatori di Forza Italia che dicono sì all’«Italicum 2.0» sono 46 ai quali vanno aggiunti i 4 di Gal. E 22 sono i Dem che votano in dissenso dal gruppo. Dopo l’ok al «nodo» della riforma, al Senato scoppia il putiferio: il «super canguro» fa decadere 35mila delle 47mila proposte di modifica presentate e questo scatena la protesta dei 5 Stelle che parlano di «nuova maggioranza» e di «trucchetti ignobili» per «concretizzare il Patto privato del Nazareno».
Mentre quelli della sinistra Dem, Gotor in testa, sfogano con i cronisti rabbia e disappunto
Il «dado è tratto», sbotta un senatore della minoranza, «è un altro passo verso la Repubblica presidenziale». Eppure il tesoriere dei Ds Ugo Sposetti aveva provato a fare un tentativo in extremis per non lacerare ulteriormente il partito già in fibrillazione per l’intervista di Esposito che aveva definito i dissidenti «parassiti» e per ridare la parola al Parlamento chiedendo ad Esposito e a Gotor di ritirare le rispettive proposte di modifica. Ma il suo appello, al quale si era associato anche quello di Muchetti, era rimasto inascoltato.
Così la «guerra» comincia
La minoranza Dem si riunisce alla Camera con Pier Luigi Bersani per fare il punto. Secondo la versione ufficiale sono 140, secondo chi li ha contati nella sala Berlinguer sono 85. Anche se la sostanza politica non cambia. Si parla del voto al Senato, ma si guarda al Colle. Il fatto, spiegano alcuni Dem al governo, è che «la minoranza alza il tiro per avere voce sul Colle» e il fatto che «Bersani ci metta il cappello significa che vuol essere anche lui un interlocutore».
Nel frattempo Berlusconi si vede con Alfano al Senato
Anche se, si spiega nel centrodestra, la riunione «è più che altro organizzativa, troppa gente per fare nomi per il Quirinale», si osserva, l’«incontro vero» è stato «quello di lunedì» dove si sarebbe deciso di fare fronte comune sul candidato da proporre a Renzi. Un candidato che molti, a Palazzo Madama, ora vedono anche in Casini, in compagnia di Giuliano Amato. Con Antonio Martino che al momento rappresenta il nome di bandiera.
Nel Pd, intanto, si cerca di ricomporre la frattura. Esposito chiede scusa per aver parlato di «parassiti», frase stigmatizzata anche da Bersani, mentre Guerini assicura che «la maggioranza non è cambiata», mentre Zoggia incalza: «Con FI non c’è nessuna mutazione genetica».
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