Convention di Sel a Milano, Vendola: “Bisogna combattere il renzismo”. Civati: “Io non esco dal Pd ma non posso escludere una frattura interna”
“Il potere esecutivo di Renzi ha quasi del tutto cannibalizzato il potere legislativo. Il parlamento è solo un votificio. Non come Berlusconi ma molto oltre. Il parlamento non ha più alcuna autonomia”. Il nuovo affondo di Nichi Vendola sul premier Matteo Renzi avviene dal palco della convention Sel ‘Human Factor’ a Milano. E ci va giù pesante: bisogna combattere il renzismo, che “è la forma aggiornata del neo conservatorismo nella variante italiana”. Descrive il patto del Nazareno come “il momento di fondazione del Partito della Nazione”. Secondo il leader di Sel “è il seppellimento della dialettica tra destra e sinistra, tra giustizia ed ingiustizia”.
La convention di Milano “è l’inizio di un cammino” per la sinistra, sottolinea Vendola
“Possiamo prefigurare – dice più avanti – la nascita di un coordinamento fatto da rappresentati di tutti coloro che sono interessati a questo processo. In questo coordinamento dovrà essere consentita la doppia militanza, ognuno con la sua tessera”. Questo coordinamento, spiega, “dovrebbe lavorare per tutto il mese di febbraio per decidere campagne nazionali per rimescolare tutti i popoli” di sinistra. “Ci saranno compagni e compagne che potranno spartire il pane della politica. Noi abbiamo la volontà non di annunciare un fatto magico, l’improvvisa nascita di un nuovo soggetto politico. Siamo una comunità tra tante altre comunità. La geografia della sinistra è vasta: noi non siamo i primi e non siamo i migliori. Non intendiamo prefigurare un processo che prevede cessione di sovranità da parte di ciascuno, perché insieme tutti si possa fare un avanzamento”, aggiunge.
Presente alla convention Pippo Civati, esponente della minoranza del Pd. Che dice: “Non c’è bisogno di dividere il Pd, ma non posso escludere che questo accada. Non c’è nessun disegno per rompere”. Durante il suo intervento Civati ribadisce: “non esco dal Pd”, ma alla luce anche di quanto avvenuto con le primarie in Liguria “non posso escludere” che “accada” una frattura all’interno del partito guidato da Matteo Renzi.
E se Civati si autodefinisce ironicamente della “corrente dei parassiti”, sottolinea: “ci siamo stufati della definizione di minoranza, minoranza di che cosa? Per me è doloroso dire questo, io sono partito con l’Ulivo, ragiono più da militante che da esponente politico”. Per il deputato della minoranza dem il centrosinistra “si ruppe due anni fa quando si cercò di eleggere Prodi, quando ci dissero che le larghe intese non ci avrebbero snaturato”.
E proprio Romano Prodi è il nome di Civati per la corsa al Colle. “Io un nome al momento lo avrei che è Romano Prodi – sottolinea – Non capisco perché dire Prodi vorrebbe dire andare contro il Pd”. Approfondendo l’argomento Civati dice: “vorrei che il candidato non fosse deciso da Berlusconi”. Secondo lui “ci sono altre forze politiche in Parlamento, basta guardarsi attorno”. E se il nome sarà deciso l’ultimo giorno “partecipiamo al thriller con serenità”.
A chi gli chiede se la candidatura di Giuliano Amato sia ‘opportuna’, Civati replica: “Mi sembra una proposta che guarda molto al passato, non mi sembra che Renzi se lo possa permettere un nome così da Prima Repubblica”.
Parlando delle elezioni in Grecia, Civati sostiene che “l’effetto Tsipras mi fa star bene” e che “la sinistra possa governare”. Poi la battuta: “stasera se vince Tsipras, Renzi si scriverà con il Ts (Rentsi, ndr)”.
Non con tanta ironia invece dice che Renzi “ha usato Berlusconi contro di noi e questo è inaccettabile in un partito politico. Nel serial del Nazareno si sono visti già nove volte, io ero contrario fin dalla prima volta”. Ma non perde le speranze, sottolinea, di restare nel Pd.
Dal palco di Milano intervenuto sul Colle anche Gianni Cuperlo: “Bisogna che il Pd discuta il profilo di una candidatura autorevole, autonoma e in grado di essere ciò che deve essere: il garante supremo della Costituzione. Poi se su quella candidatura confluiscono altre forze politiche e c’è un largo consenso, un largo accordo nel Parlamento, questo fa soltanto del bene alla democrazia italiana”. Una proposta “unitaria, seria, autonoma – aggiunge – sarebbe un elemento che darebbe maggiore equilibrio e garanzia al percorso che ci apprestiamo a fare questa settimana”. Se il candidato per il Quirinale fosse un nome condiviso non solo dal Pd ma anche da Silvio Berlusconi e dalle altre forze politiche sarebbe un “bene per la democrazia”.
Non ha dubbi Stefano Fassina, deputato del Pd: “Resto nel Pd”. Sulla sua presenza al convegno di Milano, Fassina spiega che non è un indizio di una ‘distanza’ dal suo partito quanto “una prova di confronto e dialogo, perché ci serve mettere a punto un’analisi condivisa, un progetto condiviso. Dobbiamo lasciare stare i contenitori e concentrarsi sui contenuti”.
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