Riforma della Rai, Renzi apre i lavori in Consiglio dei Ministri: “Deve informare, divertire, educare, ed essere la più innovativa azienda italiana”
Oggi Matteo Renzi apre il dossier Rai in Consiglio dei ministri: «Riformare la Rai significa metterla nelle migliori condizioni per informare, divertire, educare, per poter essere la più innovativa azienda italiana». Non è ancora pronto un testo di disegno di legge, se ne occuperanno i suoi più stretti collaboratori (il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli, il capogruppo Pd in Vigilanza Vinicio Peluffo col collega Francesco Verducci, il responsabile della Cultura del partito Lorenza Bonaccorsi). La scommessa sarà trovare un accordo con gli altri partiti, a partire dal Movimento 5 Stelle. Non è escluso un emendamento alla legge Gasparri per velocizzare l’iter: l’attuale consiglio di amministrazione scade a luglio.
IL CDA DIVENTA DI 7 MEMBRI UNO SARÀ ELETTO DAI DIPENDENTI
Consiglio di amministrazione con sette membri: tre nominati dal Consiglio dei ministri su proposta del ministero dell’Economia (tra loro l’amministratore delegato), tre dalle Camere in seduta comune, uno votato dai dipendenti Rai (sul modello della mitbestimmung tedesca, di fatto una forma di co-gestione), sarebbe la prima volta che si applica una misura del genere nella tv pubblica.
Basta con i consiglieri di amministrazione «generalisti», ciascuno dovrà essere scelto in base alla propria specializzazione: informazione, intrattenimento, cultura, bilancio aziendale, mercati esteri, fiction e via dicendo. La scelta avverrà, secondo l’ipotesi del presidente del Consiglio, all’insegna dell’assoluta trasparenza: curricula on line, esame dei singoli candidati, colloqui. Nella visione di Renzi, il cda diventerebbe non più un luogo di «dibattito sulle nomine» ma la vera «fabbrica delle idee aziendali» di supporto all’amministratore delegato.
CANDIDATURE SUL WEB E UN CAPO AZIENDA CON AMPI POTERI
Arriva a viale Mazzini l’amministratore delegato, il capo azienda «forte», dotato di poteri sia in materia editoriale che economica e quindi di bilancio. Il fatto che faccia parte integrante del consiglio di amministrazione cancellerebbe una delle anomalie Rai che, secondo Renzi, è alla base dei problemi dell’azienda: l’attuale direttore generale Luigi Gubitosi ha solo il potere di proposta e non di voto.
Si legge nella bozza informale che circolava ieri a Palazzo Chigi: «Non servono architetture barocche o la creazione di qualche sofisticata ingegneria che complichi ancora di più le cose. Serve una guida manageriale vera, come quella di ogni grande player internazionale. Insomma, un capo, un responsabile che possa decidere». Viene in mente, è stato spesso scritto, una moderna figura alla Ettore Bernabei, che guidò la Rai sia nella scelta dei programmi che nell’indirizzo economico e finanziario». Anche nel caso dell’amministratore delegato, Renzi pensa a candidature palesi e a curricula pubblicati online.
UN CANALE PER INSEGNARE L’INNOVAZIONE DIGITALE
Basta con Raiuno-Raidue-Raitre tutte generaliste e spesso sovrapponibili, con programmi molto simili anche nelle stesse fasce (soprattutto al mattino e al pomeriggio). L’ipotesi scaturita nella discussione nel Pd indica tre reti specializzate: una generalista, una per l’innovazione, sperimentazione e nuovi linguaggi (in particolare per la «alfabetizzazione digitale» di cui Renzi ha spesso parlato) e una più culturale, quasi certamente senza pubblicità. In questo schema Renzi vedrebbe di buon occhio la riforma dell’informazione Rai varata dall’attuale direttore generale, Luigi Gubitosi, con due sole newsroom. Settore essenziale per la Rai di domani sarà la fiction.
Si legge nella bozza: «La nostra creatività e professionalità ha le carte in regola per gareggiare con i grandi network a livello mondiale, per entrare nei mercati internazionali delle produzioni di eccellenza, per esportare all’estero le fiction che raccontano l’Italia».
LA COMMISSIONE DI VIGILANZA RIMANE SOLO COME CONTROLLORE
La commissione di Vigilanza, nel primo schema di Renzi, resterebbe ma solo come «cane da guardia» del servizio pubblico e non più fonte di nomina del consiglio di amministrazione e del presidente, secondo la legge Gasparri. Questa era in effetti la missione iniziale della commissione, così come nacque nel 1975 con la grande riforma del servizio pubblico radiotelevisivo.
Poi, successivamente, assunse anche l’identità di fonte di nomina. Il disegno di legge presentato dal Movimento 5 Stelle ne prevede l’abolizione: difficile prevedere come l’ipotesi renziana possa raggiungere una sintesi (in vista di un testo unico sulla Rai) con una proposta così lontana. Altra questione in ballo, riguarda il canone. Il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli lo vorrebbe agganciare alla bolletta elettrica per ridurre l’evasione e abbassare per tutti la tassa. Renzi vorrebbe abolirlo. Ma come si sostenterebbe la Rai?
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