• Home »
  • Esteri »
  • Israele, sei milioni di persone al voto per formare il nuovo Parlamento e per scegliere un nuovo Primo Ministro. Testa a testa Netanyahu-Herzog

Israele, sei milioni di persone al voto per formare il nuovo Parlamento e per scegliere un nuovo Primo Ministro. Testa a testa Netanyahu-Herzog

Israele, sei milioni di persone al voto per formare il nuovo Parlamento e per scegliere un nuovo Primo Ministro. Testa a testa Netanyahu-Herzog

Sei milioni di israeliani alle urne oggi per eleggere i 120 deputati della Knesset, il parlamento di Gerusalemme e per scegliere un nuovo primo ministro fra Benyamin Netanyahu (Likud) e il suo sfidante di Campo Sionista (centro-sinistra) Isaac Herzog. Le urne sono state aperte alle 7 (le 6 in Italia) e si chiuderanno alle 22. In quell’ora tre reti televisive nazionali pubblicheranno i propri exit-polls.

«La scelta oggi è fra il cambiamento e la speranza, oppure la demoralizzazione e la delusione»: così ha sintetizzato il significato delle elezioni israeliane Herzog, dato in leggero vantaggio dagli ultimi sondaggi, quando stamane si è recato a votare a Tel Aviv.

Il premier Netanyahu ha votato di prima mattina a Gerusalemme, accompagnato dalla moglie. In questa occasione ha dichiarato ancora una volta che non formerà un governo di unità nazionale con il suo rivale Herzog, ma punterà piuttosto, se possibile, a costituire un governo assieme con il partito nazionalista Focolare ebraico di Naftali Bennett.

Se rieletto poi Netanyahu ha dichiarato che farà di tutto per non consentire la nascita di uno stato palestinese. Alla vigilia del voto infatti, a fronte di sondaggi sfavorevoli o perlomeno insicuri, il premier è tornato a cavalcare il tasto della sicurezza di Israele. Sfidando gli Usa e la comunità internazionale, lo ha fatto con l’intento, da una parte, di rassicurare i suoi elettori, e dall’altra di evitare che il voto di destra si disperda in altri partiti che non siano il suo Likud. Al tempo stesso ha ammiccato agli elettori più sensibili alla possibilità che in uno stato palestinese in Cisgiordania possa alla fine prevalere l’estremismo, come è successo a Gaza dopo il ritiro unilaterale deciso da Ariel Sharon.

«Penso – ha detto al sito Nrg del quotidiano Maariv – che chiunque muova verso uno Stato palestinese e lasci territori, abbandona questi agli attacchi dell’Islam radicale contro Israele». Poi ha attaccato la sinistra: «Ha messo la testa sotto la sabbia giorno dopo giorno e ha ignorato questo argomento».

La sinistra attaccata dal premier è il Campo sionista di Isaac Herzog e Tzipi Livni a cui gli ultimi sondaggi ufficiali – venerdì scorso – davano un vantaggio di quattro seggi nei confronti del Likud. Onde evitare ogni fraintendimento, Netanyahu – che in passato ha invece detto di sostenere la soluzione a due Stati – ha spiegato che se Campo sionista vincesse le elezioni questo «si unirebbe alla comunità internazionale e alle loro volontà» che comprendono lo stop nelle costruzioni in Cisgiordania e a Gerusalemme est e il ritorno ai confini del 1967.

Del resto ad Hor Homa – considerata dalla comunità internazionale colonia illegale nei pressi di Gerusalemme est – Netanyahu ha ribadito, se il voto lo premierà, che le «costruzioni di case» e «le fortificazioni» a Gerusalemme est proseguiranno in modo da impedire ogni divisione della città. Nell’appello dell’ultimo minuto – dopo l’ultima manifestazione prima del voto a Tel Aviv, giudicata da alcuni un raduno di coloni – Netanyahu è andato dunque all’attacco per ricompattare un fronte, il suo, apparso depresso.

Ieri il Jerusalem Post ha rivelato un sondaggio del Likud, dello scorso 9 marzo, secondo cui la percentuale di chi crede che l’attuale premier possa guidare il prossimo governo è precipitata dal 60 al 49,6%. La maggioranza sembra dunque essersi volatilizzata. Ma se Netanyahu con gli ultimi appelli al voto tenta di serrare i ranghi per rimontare lo svantaggio Campo sionistà tenta di pescare in mare aperto.

Con una mossa a sorpresa, la centrista Tizpi Livni ha rinunciato in via di principio all’alternanza nella premiership con Herzog: questo, ha spiegato, se risultasse essenziale per consentire al leader di Campo sionista di formare un governo di coalizione. Un passo dovuto all’opposizione nei suoi confronti non solo da parte della sinistra laburista ma soprattutto all’esterno del partito: tra quelli cioè che non hanno mai perdonato a Livni la sua facilità nel cambiare schieramento, visto che fino a pochi mesi fa era ministro della Giustizia nel governo Netanyahu.

Ognuno di questi interventi, in un finale di partita piuttosto agitato e dall’esito incerto, va interpretato – a giudizio di molti analisti – con il fatto che a prevalere non sarà solo chi avrà più seggi, ma chi sarà in grado di formare una coalizione di governo. Come del resto è accaduto alla stessa Livni alle elezioni del 2009, dove il suo partito Kadima prevalse nel numero dei seggi, 28, contro i 27 del Likud. Ma a formare il governo – grazie all’affermazione del partito di destra di Avigdor Lieberman – fu Netanyahu che ricevette l’incarico da Shimon Peres.

È in queste alchimie di coalizione che si gioca il primato, considerando come possibili aghi della bilancia (premiati dai sondaggi) la Lista araba unita di Ayman Odeh – che oggi ha detto che raccomanderà al presidente Reuven Rivlin Herzog come premier – il partito di Moshè Kahlon Kulanu (Noi tutti), il centrista Yair Lapid e non ultimi i partiti religiosi. Tra questi Eli Ishay di Yachad che, se supererà la soglia elettorale del 3,25%, potrebbe diventare un aiuto insperato per Netanyahu.