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Turchia, blitz per liberare il magistrato sequestrato, uccisi i due assalitori. Negli scontri perde la vita anche l’ostaggio

Turchia, blitz per liberare il magistrato sequestrato, uccisi i due assalitori. Negli scontri perde la vita anche l’ostaggio

Aveva soltanto 15 anni. Era uscito di casa per andare a comprare il pane ma era stato colpito a morte da un candelotto lacrimogeno durante le proteste di Gezi Park, a Istanbul. Era il 2013. Il poliziotto che sparò il lacrimogeno non è stato ancora trovato. Nel nome di quel ragazzo due ‘brigatisti’ turchi hanno preso in ostaggio Mehmet Selim Kiraz, il magistrato che aveva in mano l’inchiesta sulle responsabilità del decesso. Un sequestro che si è protratto per sette ore. E si è concluso in modo tragico. Con un blitz delle forze speciali per liberare il giudice. Che, rimasto ferito durante l’operazione da tre proiettili alla testa e due al corpo, è poi deceduto in ospedale dopo un intervento chirurgico. I due del commando sono invece rimasti uccisi sul posto.

L’operazione delle forze di sicurezza turche per mettere fine al sequestro del pm Kiraz all’interno del palazzo di giustizia di Istanbul era scattata a seguito del fallimento di un tentativo di negoziato con i rapitori, appartenenti all’organizzazione marxista Dhkp-C. Un commando armato, infatti, stamani ha bloccato il magistrato dentro al tribunale di Caglayan. Kiraz è il titolare delle indagini sulla morte di Berkin Elvan, il quindicenne colpito alla testa da una capsula di gas lacrimogeno nel giugno 2013, durante le proteste anti-governative a Gezi Park, e deceduto in ospedale nel marzo dell’anno scorso senza mai essere uscito dal coma. Nell’edificio erano subito entrate le forze speciali e in un primo momento erano state avviate trattative attraverso un mediatore.

L’assalto

Una foto, fatta circolare sui social, mostra il volto di Kiraz: alle sue spalle, un uomo gli tiene tappata la bocca con una mano. Con l’altra gli punta una pistola alla tempia. Sul muro, dietro di loro, si vede la bandiera del Dhkp-C. Secondo Halkinsesi.tv, sito vicino all’organizzazione, gli autori del gesto avevano dato tempo alle autorità fino alle 15.36 di oggi per accogliere le loro richieste.

Le richieste

I sequestratori avevano lanciato alle autorità turche un ultimatum, in scadenza a metà pomeriggio, per soddisfare le loro richieste: queste ultime comprendevano una confessione “pubblica” da parte degli agenti sospettati di aver ferito il ragazzo, il loro rinvio a giudizio davanti a un “tribunale popolare”, e la scarcerazione di coloro che sono sotto processo per aver manifestato a favore di Elvan. Il ragazzo morì l’11 marzo 2014 – 269 giorni dopo essere entrato in coma – colpito alla testa da una cartuccia di gas lacrimogeno durante le proteste di Gezi. Il giovane si era trovato in mezzo agli scontri mentre andava a comprare il pane.

La telefonata al giudice

Oggi un redattore del giornale turco Hurriyet aveva chiamato il cellulare del magistrato innescando un breve dialogo surreale con i sequestratori. Una voce maschile aveva infatti risposto: “Il procuratore al momento non è disponibile” e poi aveva attaccato. Intanto, in sottofondo, si era sentita un’altra voce gridare: “E’ la polizia”.

L’appello del padre

Poco dopo la diffusione della notizia sul sequestro del giudice, il padre del ragazzo ucciso a Gezi Park, Sami Elvan, aveva diffuso un tweet in cui chiedeva di liberare il magistrato. “Mio figlio è morto, non voglio altre morti, liberatelo!” (qui il video).

Due anni fa l’allora primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, aveva accusato Berkin di aver avuto legami con “organizzazioni terroristiche”, esacerbando ancor di più gli animi. La madre di Berkin, Gülsüm Elvan, dal canto suo aveva incolpato il primo ministro per la morte del figlio.

Silenzio stampa

Nel corso della giornata, le emittenti televisive turche si erano conformate al silenzio stampa imposto dal governo sospendendo la trasmissioni di immagini sul sequestro. La decisione era stata presa dal premier Ahmet Davutoglu in base a una una norma che gli consente di ordinare la ‘censura’ per motivi di sicurezza nazionale e ordine pubblico. Ordini di ‘censura’ sono imposti piuttosto frequentemente in Turchia, paese membro del Consiglio d’Europa e della Nato e candidato all’Ue, su casi sensibili. Negli ultimi quattro anni, secondo Hurriyet, ne sono stati emessi 150. Il giornale oggi ha ricordato che il silenzio stampa è stato imposto sul sequestro da parte dell’Is di 49 diplomatici turchi a Mosul, sulla vicenda di tangentopoli, sulle indagini su alcuni attentati terroristici o sul disastro nella miniera di Soma l’anno scorso.

Il commando del Dhkp-C

Il Partito-Fronte rivoluzionario di liberazione del popolo (Dhkp-C) è un’organizzazione turca di ispirazione marxista-leninista fondata nel 1978 e considerata fuorilegge in Turchia come nell’Unione europea e negli Stati Uniti. Negli ultimi anni il gruppo ha incrementato le sue attività. E’ responsabile anche dell’attacco contro l’ambasciata statunitense ad Ankara nel 2013, quando un attentatore suicida si fece esplodere di fronte all’ingresso della sede diplomatica, uccidendo un addetto alla sicurezza.

Il Dhkp-C è anche considerato responsabile dell’attentato della scorsa settimana contro la sede di Istanbul di una rivista sostenitrice del sedicente Stato islamico (Is), Adimlar. L’esplosione di una bomba all’ingresso della redazione ha ucciso un giornalista e ne ha feriti altri tre. A gennaio scorso un membro dell’organizzazione ha aperto il fuoco contro la polizia nella centrale piazza Taksim di Istanbul, senza fare vittime.