Papa Francesco ai sarcerdoti: “La stanchezza e’ un rischio una specie di malattia professionale. Anch’io sono stanco…”
A san Pietro il silenzio viene rotto dalle parole del Papa. Il tono è basso, la voce quasi roca. Sbuffi di incenso salgono in aria, restando come sospesi. Bergoglio celebra la messa del sacro crisma, il rito che ricorda l’istituzione del sacerdozio e parla della stanchezza. Stanchezza fisica, spirituale, morale. La stanchezza ha molte facce e non risparmia nemmeno lui. Parla anche della sua stanchezza nell’affrontare ogni giorno impegni pressanti, carichi di lavoro pesanti, folle sterminate. La stanchezza dei sacerdoti è un rischio, una specie di malattia professionale se non si aderisce al disegno di Dio: “Solo l’amore dà riposo. Ciò che non si ama stanca e alla lunga stanca male”.
Ad ascoltare il Papa ci sono vescovi, cardinali, religiosi, monaci, parroci. La basilica è gremita, over booking. “Sapete quante volte penso alla stanchezza di tutti voi? Ci penso molto e prego di frequente, specialmente quando ad essere stanco sono io. Prego per voi che lavorate in mezzo al popolo fedele di Dio che vi è stato affidato, e molti in luoghi assai abbandonati e pericolosi. E la nostra stanchezza, cari sacerdoti, è come l’incenso che sale silenziosamente al Cielo. La nostra stanchezza va dritta al cuore del Padre”.
Papa Bergoglio riflette sul peso del lavoro pastorale di chi regge una diocesi, una parrocchia, un istituto religioso. “A tutti noi può venire la tentazione di riposare in un modo qualunque, come se il riposo non fosse una cosa di Dio. Non cadiamo in questa tentazione. La nostra fatica è preziosa agli occhi di Gesù, che ci accoglie e ci fa alzare: “Venite a me quando siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro”. Cita Matteo. “Quando uno sa che, morto di stanchezza, può prostrarsi in adorazione”.
La ricette per non soccombere ai troppi impegni è di cercare di “riposarsi nella fatica”, magari chiedendo “aiuto a qualche sacerdote saggio”, senza cadere in uno sterile “auto-compiacimento”. E ancora, indica Bergoglio: “Sappiamo riposare dai nostri nemici sotto la protezione del Signore? Vado argomentando e tramando fra me e me, rimuginando più volte la mia difesa, o mi affido allo Spirito che mi insegna quello che devo dire in ogni occasione? Mi preoccupo e mi affanno eccessivamente o, come Paolo, trovo riposo dicendo: «So in chi ho posto la mia fede».
Le stanchezze che minano il lavoro del sacerdote (ma anche del Papa) vengono raggruppate in tre ampie categorie; Francesco le elenca. “C’è quella che possiamo chiamare la stanchezza della gente, delle folle: per il Signore, come per noi, era spossante – lo dice il Vangelo –, ma è una stanchezza buona, una stanchezza piena di frutti e di gioia (…) E’ la stanchezza del sacerdote con l’odore delle pecore…, ma con sorriso di papà che contempla i suoi figli o i suoi nipotini”.
Poi c’è quella che chiama la “la stanchezza dei nemici”
“Il maligno è più astuto di noi ed è capace di demolire in un momento quello che abbiamo costruito con pazienza durante lungo tempo. Qui occorre chiedere la grazia di imparare a neutralizzare: neutralizzare il male, non strappare la zizzania, non pretendere di difendere come superuomini ciò che solo il Signore deve difendere”.
Poi, per ultima c’è “la stanchezza di sé stessi”
E’ forse la più pericolosa. Perché, spiega Bergoglio, è più auto-referenziale: riguarda “la delusione di sé stessi ma non guardata in faccia, con la serena letizia di chi si scopre peccatore e bisognoso di perdono: questi chiede aiuto e va avanti. Questa stanchezza è un civettare con la mondanità spirituale. Ma quando uno rimane solo, si accorge di quanti settori della vita sono stati impregnati da questa mondanità, e si ha persino l’impressione che nessun bagno la possa pulire”. Questa è la stanchezza più cattiva.
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