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Auditorium, tris di compositori per la direzione del colombiano Orozco-Estrada. Magistrale performance dell’orchestra ceciliana

Auditorium, tris di compositori per la direzione del colombiano Orozco-Estrada. Magistrale performance dell’orchestra ceciliana

Di SERGIO PRODIGO
All’Auditorium del Parco della Musica l’estremo interesse e il raro pregio di un programma dedicato a tre compositori (Anton Webern, Alexander Zemlinsky e Richard Strauss) e, contestualmente, a tre difformi ma complementari espressioni della Weltanschauung mitteleuropea si è coniugato lo scorso sabato 28 novembre (con due eccellenti repliche il 30 e il 1° dicembre) con una magistrale performance dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, egregiamente diretta dall’ancor giovane direttore colombiano Andrés Orozco-Estrada, e, in tale ambito, con la preziosa proposizione di una significativa “prima” ceciliana (il “Salmo 13” di Zemlinsky).
Si imponevano (e s’impongono) altre riflessioni, forse prevaricanti e procrastinanti l’estemporanea cronaca o l’immediato commento, di là dal rilievo di obiettive eccellenze esecutive e interpretative da parte del direttore, dell’Orchestra, della sua magnifica spalla (Roberto González-Monjas), del Coro e del suo direttore (Ciro Visco): se ne discetterà più avanti nella specificità dei brani proposti.

Va rilevato, al riguardo, come la stessa proposizione iniziale del primo lavoro sinfonico di Anton Webern, la “Passacaglia” op. 1, ha costituito, anzi costituisce di per sé una preziosità musicale, poiché consente di cogliere il momento o l’attimo pur storicizzato del distacco netto dalla tradizione proprio in quel primo decennio del Novecento che, di contro, vedeva tale processo procedere con più lenta e meditata progressione sia in Schönberg (il “maestro”) sia in Berg (il “condiscepolo”). La voluta allit-terazione s’aggancia e si connette ad una aggettivazione profetica che ben s’attaglia anche ad un’opera saldamente tonale, come la “Passacaglia”, che reca e contempla sì una inconfondibile impronta brahmsiana, ma, attraverso i prodromi di procedimenti edificativi bachiani, contiene ugualmente i germi di una probabile e progettuale serialità (si pensi al tema prescelto per le canoniche variazioni dell’antica danza barocca), di un graduale proscioglimento degli stessi vincoli armonici, sebbene programmatici, e di una prospettica prolessi della successiva propensione alla timbricità melodica. L’insieme e le evenienze di tali elementi conferiscono alla pagina weberniana, sovente giostrata e sospesa fra silenzi, contrasti ed esplosioni, una notevole complessità esecutiva: Orozco-Estrada ne ha saputo rappresentare l’essenza, attraverso una fedele e riflessiva lettura esegetica, coadiuvato da una compagine orchestrale sempre inappuntabile anche nei passaggi più astrusi e nelle più irte e cangianti fraseologie.
Di seguito le due (diverse) opere sinfonico-corali di Alexander (von) Zemlinsky, il “Salmo 23” op. 14 e il “Salmo 13” op. 24: per rammentare brevemente la figura e il valore del compositore austriaco, appare quasi logico citare Schönberg, che volle gratificarlo come «colui al quale più che a ogni altro» doveva «la conoscenza della tecnica e dei problemi della composizione», ritenendo altresì che fosse «un grande com-positore», e che il suo momento sarebbe venuto «più presto di quanto crediamo». Il momento di Zemlinsky, tuttavia, non venne “presto”, anzi forse solo negli ultimi anni la cosiddetta sua disconoscenza s’è fortemente attenuata, in virtù della proposizione soprattutto dei suoi lavori sinfonici, e s’è anche ridimensionata una soverchia collocazione fra i decadenti epigoni del sinfonismo tardo-ottocentesco. Forse il “Salmo 23”, composto nel 1910, può rivelare i tratti di un manierismo pur raffinato e le espressioni più nobili di una religiosità musicalmente ben simboleggiata: il “Salmo 14”, invece, scritto nel 1935 (ma eseguito per la prima volta solo nel 1971), affida proprio alla nobiltà della citata espressione musicale l’atto di protesta contro le infamie dei pregiudizi e delle persecuzioni razziali. I versetti del testo biblico si mutano in muta denuncia e i tratti musicali, sdegnanti ma inasprenti, dolenti ma potenti, svelano una intensa peculiarità inventiva e l’efficacia delle soluzioni timbriche.
La “prima” di questa rara pagina ha certamente destato o risvegliato suggestioni ed emozioni, non disgiunte dalla tragica attinenza o pertinenza a quanto da non breve tempo si vive, ma la forza catartica della musica si impone e si esalta anche in grazia della compiutezza rappresentativa, coronata dalla coesa valenza esecutiva delle masse corali e orchestrali ceciliane: ingente e conseguente il plauso rivolto dagli astanti, con maggiore intensità, allo stesso Orozco-Estrada e a Ciro Visco.

Nella seconda parte del concerto il poema sinfonico “Ein Heldenleben” (“Una vita d’eroe”) op. 40: ultimato da Richard Strauss nel 1898 ed eseguito, sotto la sua direzione, nel marzo del 1899 a Francoforte, in un certo qual senso configura l’estremo e più complesso commiato dal genere, ma raffigura – al tempo stesso – una sorta di sintesi autobiografica scientemente operata o meditata, di là da una trita attribuzione superomistica che le stesse titolazioni dei sei episodi potrebbero disegnare o designare. Si può ravvisare quasi una ricapitolazione della vita artistica (le numerose e mirate autocitazioni) o semplicemente umana del compositore bavarese, tesa nel significante delle sei didascalie (“L’eroe”; “Gli avversari dell’eroe”; “La compagna dell’eroe”; “Il campo di battaglia dell’eroe”; “Le opere di pace dell’eroe”; “Il ritiro dal mondo e la fine dell’eroe”) a illustrarne musicalmente e senza soluzione di continuità il significato e l’essenza stessa della pur breve esistenza pregressa ma nella proiezione di una necessaria svolta soprattutto compositiva (le grandi opere teatrali del suo Novecento musicale).

L’estremo vitalismo del brano d’esordio, l’alternarsi delle tematiche espresse e i contrasti o le contrapposizioni fraseologiche del secondo episodio sembrano quasi stemperarsi nel terzo: il violino solista simboleggia nelle sue trame melodiche quell’eterno femminino cui soggiace la stessa volontà di rappresentazione di un supposto eroismo, poi disvelato nella susseguente episodicità della cruenta pugna e della vittoria sulle forze avverse e avversarie. La pace conseguente si mostra appagante, forse perché riflessa e riflessiva sulle opere dell’artista-eroe: sfilano così in rapide sequenze citazioni da “Don Juan”, da “Also sprach Zarathustra”, da “Tod und Verklärung”, da “Don Quixote”, da “Till Eulenspiegels lustige Streiche”, da “Guntram” e da “Macbeth”. Il mosaico si ricompone nell’episodio finale, ove l’intento antropopoietico si concreta nel conseguimento di un’agognata e trasfigurata quiete.
In “Ein Heldenleben” Strauss ha quasi edificato o riedificato la sua umanità e la sua identità artistica, sfoggiando e utilizzando il virtuosismo orchestrale come una potente arma, atta ad una sottesa autocelebrazione: eppure, il risultato è stupefacente, supera la prolissità o la magniloquenza e dona all’ascolto gioia e partecipazione emotiva.
È difficoltoso rendere a pieno il senso estetico e anche prossemico del capolavoro straussiano: Orozco-Estrada è certamente riuscito pienamente in tale arduo compito, ma in virtù di un’Orchestra che si è espressa al massimo livello in tutte le sue sezioni e, soprattutto, nei difficoltosi passaggi delle parti solistiche. Al riguardo, va partico-larmente evidenziata la superba e sublime interpretazione che il primo violino, Ro-berto González-Monjas, ha saputo letteralmente donare al terzo episodio del poema, impreziosendolo di lirismo e di ineguagliabile espressività: interminabili ed entusia-stiche le ovazioni e le acclamazioni finali del pubblico!