Lo strappo e’ definitivo. Ora due anni di tempo per procedere alla recessione. Tutti i passaggi e le conseguenze sui trattati
Tutti gli Stati membri dell’Unione Europea hanno il diritto di abbandonarla, come ha deciso di fare la Gran Bretagna con il referendum di ieri. Finora non era mai successo, anche se la Groenlandia, membro autonomo del Regno di Danimarca, ha lasciato la Comunità Economica Europea, il predecessore dell’Ue, nel 1985, dopo aver ottenuto l’autogoverno, in disaccordo con la regolamentazione Ue in materia di pesca e con il bando dei prodotti in pelle di foca. Anche l’Algeria è uscita nel 1962, dopo essersi liberata dal dominio coloniale francese. Nel 1975 il Regno Unito tenne un altro referendum per decidere se ritirarsi dalla Cee, in cui era entrata due anni prima sotto il governo Tory guidato da Edward Heath: allora vinse il fronte del ‘Remain’.
A regolare la materia è l’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea, una delle due parti del Trattato di Lisbona del 2007, quello che ha creato l’Ue, sostituendo il trattato costituzionale bocciato dagli elettori francesi e olandesi nel 2005. “Qualsiasi Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione”, recita il primo comma.
“Lo Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione al Consiglio Europeo (la cui riunione è prevista il 28 e 29 giugno a Bruxelles, appositamente rinviata per fare in modo di tenerlo dopo il referendum britannico, ndr). Alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio Europeo, l’Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Ue”.
“L’accordo – prevede ancora il trattato – è concluso a nome dell’Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata, previa approvazione al Parlamento Europeo. I trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica, salvo che il Consiglio Europeo, d’intesa con lo Stato membro interessato, decida all’unanimità di prorogare tale termine”.
I due anni valgono come limite per stabilire le modalità di recesso dall’Ue, e non per rinegoziare i rapporti con l’Unione, cosa questa che potrebbe richiedere anni (le stime variano da cinque fino a nove-dieci). Naturalmente, lo Stato che recede “non partecipa né alle deliberazioni né alle decisioni del Consiglio Europeo e del Consiglio che lo riguardano”.
La ‘secessione’ dall’Ue è definitiva, tanto che, se lo Stato ex Ue dovesse decidere di aderire di nuovo, dovrebbe ripercorrere tutta la procedura prevista dall’articolo 49: il Paese fa domanda, il Parlamento Europeo e i Parlamenti nazionali dell’Ue ne vengono informati; lo Stato trasmette domanda al Consiglio, “che si pronuncia all’unanimità, previa consultazione della Commissione e previa approvazione del Parlamento Europeo, che si pronuncia a maggioranza dei membri che lo compongono”. L’accordo di adesione deve poi essere ratificato da tutti gli Stati membri, secondo le rispettive norme costituzionali.
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