Brexit, effetti drammatici sul calcio: oltre 300 giocatori non più comunitari. Ripercussioni su tutti i campionati
L’effetto domino si annuncia drammatico: nessuno sa bene ancora quali effetti profondi potrà’ avere la Brexit ma qualche valutazione e’ gia stata fatta anche per quanto riguarda lo sport. Lo chiameranno “fall-out”. Una ricaduta impressionante sulla qualità e le dimensioni del calcio britannico. “Prima di Brexit ci facciamo una birretta veloce”, era la scritta su uno striscione dei tifosi inglesi prima di Slovacchia-Inghilterra. La Premier League si era pronunciata a favore del “remain” e non per un ideale ma per un calcolo, nel breve e nel lungo termine. Rischia di diventare una specie di apocalisse finanziaria. I primi segnali si percepirebbero fra due anni. Fra sette si verificherebbe uno scollamento e un impoverimento senza ritorno per Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord. Il terremoto sarà uno e sufficientemente devastante per allontanare per sempre il ricordo del calcio inglese modello di riferimento e suggestione culturale permanente. Il primo danno sarà “umano”: i calciatori europei perdono il diritto di entrare e uscire liberamente dal Regno Unito. A pagarla di più saranno le società più ricche, avrà ripercussioni clamorose sulle rose della Premier League. Forse meno, almeno inizialmente, sulle categorie inferiori.
Stretta inevitabile anche sui calciatori extra-comunitari, i quali dovrebbero rispondere a criteri governativi più rigorosi e limitanti. Facendo una rapida somma dei professionisti delle due principali divisioni del calcio inglese e scozzese, più di 300 calciatori (si calcola 322) non rientrerebbero più negli standard di accoglienza, 100 nella sola Premier. Solo 23 dei 180 stranieri attualmente in rosa nel campionato maggiore avrebbero il permesso di lavoro e nessuno dei 53 della Scottish Premier League potrebbe garantirsi la permanenza in Scozia sulla base del proprio profilo agonistico. Una “diminutio” implacabile che non risparmierà neppure la terza e la quarta divisione inglese, dove 109 calciatori sarebbero costretti a fare le valigie. Il vice-presidente del West Ham Karren Brady ha scritto ai soci: “L’uscita dall’Europa avrebbe effetti devastanti”. Unica ancora di salvezza i possibili provvedimenti di altri stati (Norvegia e Svizzera hanno già avallato facilitazioni per l’accesso a un singolo mercato). Economicamente la possibile svalutazione della sterlina alleggerirebbe la borsa dei club e il potere d’acquisto del pubblico, incidendo fatalmente anche sulle entrate dei diritti televisivi dei prodotti. Si parla di un miliardo di sterline in meno, con caduta del concetto salvifico di mutualità. Ovviamente una sparuta pattuglia di società, le più robuste, poche, forse sei o sette, avranno la forza di respingere il colpo, attutendo le perdite con l’appoggio (è il caso di United, City, Arsenal e Chelsea) degli arabi e delle multinazionali.
Brexit allargherà la forchetta tra grandi e piccoli, togliendo al calcio, soprattutto a quello inglese, il privilegio di consentire anche alle ultime in classifica “revenues” dignitose e in linea per future imprese sul mercato dei calciatori. Con Brexit fra lo United e una retrocessa ci saranno distanze “italiane”, come tra Juventus e Frosinone. Anche i calciatori avranno molta meno spinta ad accasarsi in Gran Bretagna: “Stiamo sottostimando il pericolo, la verità è che metà dei calciatori di Premier vedranno il loro permesso di lavoro trasformato in carta straccia”, ammettono i procuratori, preoccupati anche del loro lavoro e delle loro percentuali. “In una situazione del genere porterei via dal Tottenham il mio assistito”, confessa Martin Schoots, l’agente olandese del danese Christian Eriksen. E con lui chissà quanti altri dirannoo ciao a Londra.
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