Seimila spettatori e standing ovation al Foro Italico per la “Nona” di Beethoven diretta da Sir Antonio Pappano
Di SERGIO PRODIGO. Eccezionale e non irripetibile s’è rivelato l’evento concertistico che giovedì 5 luglio, nella particolare, inusuale e serotina cornice del Centrale Live del Foro Italico, ha visti assoluti protagonisti l’Orchestra e il Coro dell’Accademia di Santa Cecilia, Sir Antonio Pappano e la Cultura musicale italiana, al cospetto di oltre seimila appassionati entusiasti.
L’entusiasmo, appunto: già dispensato e comunicato agli astanti dalle alate parole di Michele dall’Ongaro, Presidente-Sovrintendente dell’Accademia, e dai mirati cenni programmatici di Pappano, s’è diffuso e propalato dal ‘parterre’ agli spalti in grazia della iniziale breve performance della JuniOrchestra ceciliana. I giovani e giovanissimi talenti, diretti dall’eccellente Simone Genuini, hanno efficacemente interpretato l’ultimo movimento della beethoveniana “Sinfonia n. 1” in do maggiore op. 21.
Dipoi la “Nona”. Il fondamentale valore dell’esistenza umana, ossia la libertà, al quale s’assomma il sentimento della gioia (del resto, ‘Freude’, in tedesco, quasi s’assimila a ‘Freiheit’, libertà), è alla base del capolavoro beethoveniano, seppur connesso all’ode schilleriana e afferente musicalmente ad un consapevole stravolgimento e ad una irripetibile evoluzione della stessa forma sinfonica. Il dar senso e sostanza ad una diversa concezione del genere sembra mutuarsi sì dal testo poetico, ma ne costituisce il solo ‘praetextum’, poiché, se i primi tre movimenti dell’op. 125 (I: “Allegro ma non troppo, un poco moderato”; II: “Molto vivace”; III: “Adagio molto e cantabile, Andante moderato, Adagio”) appaiono forse – pur nella loro complessità strutturale – ben radicati nel solco della tradizione classica, il celeberrimo e composito “Finale” (“Presto, Recitativo, Allegro assai, Presto, Recitativo, Allegro assai, Allegro assai vivace alla marcia, Andante maestoso, Allegro energico sempre ben marcato, Allegro ma non tanto, Poco adagio, Prestissimo”) esula da ogni possibile e pregresso schema formale, impreziosisce avveniristicamente la componente armonica (si pensi solo al brusco e dissonante accordo iniziale!), coinvolge nei processi elaborativi le astrusità contrappuntistiche (si rammentino all’uopo gli artifici fugati delle ultime “Sonate” e degli ultimi “Quartetti”) e libera il tematismo da ogni possibile vincolo fraseologico.
La “Sinfonia n. 9” non appartiene, quasi consequenzialmente, a quel periodo storico, lo travalica, anzi, superando la susseguente epopea romantica e pervenendo alla contemporaneità (e proiettandosi oltre) in quanto musica fuori dal tempo e dallo spazio: occorrerebbe ripercorrere o scandagliare la genesi dell’opera, rilevare l’antico amore di Beethoven per la poesia di Schiller, di seguito chiosare lo schema generale, parafrasare i recitativi, ricostruire i ricordi citati, rintracciare presso altre sue opere o in altri autori le tracce di quella elementare melodia che sembra emergere dal nulla nella tenue primigenia enunciazione (dei violoncelli e dei contrabbassi) e analizzarne poi gli sviluppi sinfonico-corali, delucidare i concertati e, infine, tentare di comprendere la ‘ratio’ e, soprattutto, il ‘telos’ (ossia il fine, il senso, il compimento) di un capolavoro semplicemente consegnato all’umanità.
Tutto ciò sarebbe logico in altri ambiti, analogamente alla pura descrizione, pur minuziosa, di tematismi, fraseologie, supporti armonici e svolgimenti vari: basta, di contro, solo il semplice ascolto a rendere la Nona contemporanea e sincronica al nostro discontinuo mondo, specie se è reiterato più volte, specie se l’esecuzione ne vivifica lo spirito, specie se un grande come Pappano la interpreta così come è stata concepita, grazie anche alla bravura dei quattro solisti (il soprano Rachel Willis-Sørensen, il contralto Adriana Di Paola, il tenore Brenden Gunnell e il basso Thomas Tatzi), alla magnificenza del coro (mirabilmente preparato dall’eccellente Ciro Visco) e alla indiscussa e inoppugnabile professionalità dell’orchestra ceciliana.
Si è reiterato, quasi, un commento pregresso, relativo al concerto inaugurale dell’Accademia di Santa Cecilia, svoltosi lo scorso 3 ottobre all’Auditorium del Parco della Musica: eppure, diverso è stato lo spirito, di là dalla perfezione esecutiva, diversi gli intenti e, soprattutto, diverso l’‘ambitus’ sia socio-culturale sia contestuale ad una realtà sovente commutata o stravolta tragicamente dagli accadimenti più recenti, dal lento declino dell’europeismo al sangue anche italiano versato dal fanatismo religioso.
S’è avvertita questa inane implicazione nelle iniziali frasi della breve allocuzione di Pappano e nella conseguente sua compenetrazione interpretativa, quasi il messaggio e i contenuti della musica beethoveniana dovessero e potessero travalicare gli angusti margini o confini della ricezione estetica e, attraverso il grande pubblico, tentassero di diffondere a largo raggio quella rammentata binomia libertà-gioia, ancora necessaria e irrinunciabile per il mondo contemporaneo.
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