Lousiana, imboscata alla polizia: uccisi 3 agenti e tre feriti nello stesso luogo dove il 5 luglio fu ucciso un afroamericano dagli agenti
Dieci giorni dopo la strage di Dallas, ancora fuoco mortale contro la polizia negli Stati Uniti. Tre agenti sono stati uccisi e altri tre feriti in “un’imboscata” a Baton Rouge, in Louisiana, dove il 5 luglio scorso l’ambulante afroamericano Alton Sterling aveva perso la vita in circostanze particolarmente controverse sotto i colpi delle forze dell’ordine. Il bilancio della sparatoria in un comunicato diffuso dal portavoce dell’ufficio dello sceriffo di East Baton Rouge, Casey Rayborn Hicks, dove si spiega che a sparare sono state almeno tre persone. Un “sospetto” è stato ucciso, due sono in fuga. Da fonti ospedaliere si apprende che un agente ferito è in gravi condizioni. La polizia è in stato di allerta in tutti gli Stati Uniti e in particolare a Cleveland, già blindata alla vigilia della convention repubblicana. Appresa la notizia, il candidato del Gop alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump, è tornato ad attaccare: “Chiediamo legge e ordine”.
Dopo il rincorrersi delle prime voci sui media, era stato il sindaco della città Melvin Holden a confermare per primo la notizia della morte di tre agenti, parlando ai network televisivi. “I poliziotti hanno risposto a una chiamata e, arrivati sul posto, sono rimasti vittima di una imboscata tesa da uno o due aggressori che hanno aperto il fuoco” ha raccontato il sindaco a Msnbc. Lo stesso primo cittadino riferisce di essere stato contattato dalla Casa Bianca. Il governatore della Louisiana, il democratico John Bel Edwards, su Facebook scrive di “attacco ingiustificato a tutti noi, in un momento in cui abbiamo bisogno di unità e guarigione. Siate certi, ogni risorsa disponibile allo Stato della Louisiana sarà usata per garantire che i responsabili siano velocemente portati davanti alla giustizia”.
La sparatoria è avvenuta intorno alle 9 del mattino a meno di un miglio di distanza dalla sede del Dipartimento di polizia della città, nei pressi di una stazione di servizio lungo la Airline Highway, all’altezza della Old Hammond Highway. L’emittente WBRZ-TV riporta di un intervento massiccio di forze di polizia nella zona, impegnate nella caccia a chi ha sparato. L’emittente WAFB ha intervistato un testimone della sparatoria, che ha raccontato di aver visto un uomo vestito di nero, col volto coperto e munito di un’arma semi automatica, ma non appariva “addestrato militarmente”.
A Baton Rouge, dunque, sarebbe entrato in azione un commando, non un nuovo giustiziere solitario emulo di Micah Johnson, il 25enne riservista afroamericano autore della strage di agenti a Dallas, lo scorso 7 luglio. E torna di attualità una notizia del 13 luglio, quando a Baton Rouge tre afroamericani erano stati arrestati dopo una rapina in un negozio di armi dove avevano portato via otto fucili automatici. Secondo gli inquirenti, i tre arrestati stavano preparando un attacco contro gli agenti di polizia. Una quarta persona era sfuggita alla cattura e solo sei degli otto fucili erano stati recuperati.
Usa, spari a Baton Rouge contro la polizia
Proprio il caso del 37enne Alton Sterling aveva inaugurato la nuova e impressionante sequenza di afroamericani vittime dell’uso spregiudicato della forza da parte della polizia. La sua morte era stata catturata con un cellulare mostrando in video come l’ambulante, ormai spalle a terra e con due poliziotti addosso, fosse stato ucciso da uno degli agenti che gli aveva sparato bruciapelo, dopo che il collega gli aveva urlato che l’afroamericano aveva una pistola. Una volta diffuse, le immagini avevano innescato una notte di rabbiosa protesta, a Baton Rouge e in altre città statunitensi.
Protesta dilagata solo due giorni dopo, quando a Saint Paul, sobborgo di Minneapolis, Minnesota, il 32enne Philando Castile era morto a seguito delle ferite riportate per i colpi che gli aveva esploso contro un agente di polizia. L’uomo era in auto con la compagna quando era stato fermato per un controllo. All’agente di origini ispaniche, Castile aveva dichiarato di avere con sè una pistola legalmente registrata e aveva fatto per cercare il portafogli dove teneva il porto d’armi, gesto equivocato dal poliziotto che aveva fatto fuoco. Tutto questo mentre la compagna di Castile diffondeva anche questa sequenza in diretta su Facebook Live.
Con il tragico e inequivocabile supporto di quelle scene, il movimento Black Lives Matter era tornato nelle strade in tutti gli Usa. Fino alla strage di agenti a Dallas, il 7 luglio, quando durante un corteo di protesta, Micah Johnson, 25enne riservista afroamericano dell’esercito, aveva fatto fuoco sugli agenti uccidendone cinque e ferendone sette. L’uomo si era poi barricato in un garage, dove la polizia lo ha fatto saltare in aria con un ordigno trasportato da un robot.
America sotto shock, Dallas stretta nel cordoglio dell’intera nazione e il presidente Barack Obama che alla commemorazione dei cinque agenti uccisi invitava tutti a guardare in faccia la verità. Ovvero, che “il razzismo non è morto”, che gli afroamericani hanno le loro buone ragioni per protestare e che la polizia, pur svolgendo nella stragrande maggioranza dei suoi effettivi un grande servizio, dovrebbe interrogarsi “a cuore aperto”. Per assecondare la volontà di cambiamento e respingere l’idea “che la divisione razziale non possa essere colmata”.
Ma la striscia di sangue che non si sarebbe arrestata. Solo due giorni ed ecco cadere sotto i colpi della polizia Alva Braziel a Houston, Texas, e altri ancora sarebbero seguiti. Finché in questa domenica 17 luglio si è ritornati a Baton Rouge, dove la morte di Alton Sterling aveva riaperto non solo la discussione sulle modalità con cui la polizia “adatta” le sue regole d’ingaggio agli afroamericani, ma l’antica ferita di tensioni razziali mai sopite nella società statunitense, che la storia vede riesplodere proprio quando volge al termine il doppio mandato del suo primo presidente nero.
Baton Rouge, dove mercoledì scorso Cameron, il figlioletto 15enne di Alton Sterling che aveva commosso l’America piangendo a dirotto davanti alle telecamere il giorno della morte di suo padre, aveva invitato tutte le componenti etniche del grande Paese, non solo i bianchi e i neri, a “unirsi pacificamente contro la violenza”. Perché il “sacrificio” di suo padre, un “uomo buono”, fosse tradotto in qualcosa di “positivo”. Una volta spenti i riflettori, l’appello di Cameron Sterling era già dimenticato. Anziché guardare avanti, la storia continua a voltarsi indietro. Dopo la fascinazione per l’orgoglio militante del Black Power di cui era caduto preda Micah Johnson, ecco tornare dal passato un altro fantasma degli anni Sessanta. Ieri, a Baton Rouge, è stata inaugurata la sezione locale del New Black Panther Party.
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